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E’ in libreria (e anche in vendita online) il mio ultimo libro. Oltre la Crisi… raccoglie i miei interventi degli ultimi due anni su Popolare Network e in altre testate. Il tema è la crisi economica, gli equilibri mondiali che cambiano, i popoli che migrano, l’economia solidale che si fa largo, il futuro dell’alimentazione, la società dei consumi globale,  la pirateria che ancora imperversa. Con un ricordo di Hugo Chavez e un primo ritratto di Papa Francesco inseriti in chiusura.

“Prendendo spunto dall’attualità e citando cifre, atti e documenti ufficiali, Alfredo Somoza, settimana dopo settimana, è riuscito a farci entrare nelle dinamiche della mondialità e implicitamente ci ha fatto capire che l’Italia non poteva essere impermeabile al movimento di panico e di preoccupazione che ha contagiato una buona fetta del mondo ricco (…) “Gli “appunti” che danno vita a questo libro ci ricordano che a provocare la crisi del capitalismo occidentale è stata la sua stessa ingordigia che lo ha portato a inventare strumenti fittizi (derivati) per aumentare i profitti in borsa e che ancora oggi continua a perfezionarli minacciando la stabilità dei prezzi del cibo a causa dei commodity futures. Solo che ora i popoli del Sud del mondo non ci stanno più ad essere le cavie e le vittime di un sistema impazzito. Ovunque, anche nelle zone più remote, nascono reti di cittadini, di contadini e di operai per denunciare land grabbing e water grabbing, turismo sessuale, sfruttamento della manodopera, lavoro minorile, effetti nefasti del surriscaldamento climatico (…) Grazie alla rete ora è più facile promuovere nel Sud del mondo un turismo responsabile, un’agricoltura sostenibile e un commercio equo-solidale mentre nel Nord hanno cominciato a dare i primi frutti le campagne online contro quei brand, ossessionati dal profitto, che violano in Asia la dignità umana nelle fabbriche della moda e del lusso (…)  In fondo un mondo migliore è possibile se dotiamo la globalizzazione di un codice di etica. Altrimenti la storia, ci ricorda l’autore di “Oltre la crisi”, insegna che ogni ingiustizia si paga con gli interessi. E l’Italia non è sfuggita a questo destino.” (dall’introduzione di Chawki Senouci, Capo Servizio esteri Radio Popolare)

Oltre la crisi: appunti sugli scenari globali futuri 

di Alfredo Somoza

Edizioni CentoAutori, 10 euro

oltre la crisi

 

Alla fine dell’estate è diventata una triste consuetudine occuparsi della fiammata dei prezzi degli alimenti di base. Quest’anno è complice la siccità straordinaria che ha colpito il Midwest statunitense, distruggendo oltre metà del seminato a mais. E pure in Europa le scarsissime precipitazioni di agosto hanno portato a un calo del 30-40% dei raccolti di soia e mais. Il cambiamento climatico anno dopo anno si conferma un fenomeno con il quale dobbiamo fare i conti, sia per le conseguenze sulle persone e sulla natura sia per gli effetti sull’economia.

Ma anche lasciando da parte la contingenza climatica, l’emergenza sui prezzi delle commodities agricole costituisce ormai più la regola che l’eccezione. E questo per una serie di questioni che hanno a che fare con la cultura dei consumi, con l’energia e con la speculazione finanziaria. Andando in ordine, l’aumento del reddito di centinaia di milioni di persone, soprattutto nei Paesi BRIC, ha portato a una maggiore domanda di carne, che in Brasile, Indonesia o Cina, da lusso per pochi è diventata un cibo di normale consumo. La domanda di mangime per gli allevamenti di manzi, suini e volatili è cresciuta vertiginosamente nell’ultimo decennio e questo è il primo motivo per il quale la disponibilità di mais e soia per uso umano è calata.

Il secondo grande tema riguarda i cosiddetti biocombustibili, che sulla carta dovrebbero abbassare i livelli di emissioni di CO2. Entro il 2020 il combustibile in vendita nei Paesi europei dovrebbe contenere almeno il 10% di biofuel, ma già si parla di ridurre la quota al 5%: autorevoli studi scientifici hanno dimostrato un legame tra la diffusione di questi carburanti e le sempre più frequenti impennate dei prezzi degli alimenti. È stato calcolato inoltre che il loro impiego genera più CO2 di quella prodotta da pari quantità di benzina e gasolio “tradizionali”. Facile comprendere le ragioni di entrambi i fenomeni, se si tiene conto della deforestazione compiuta in Africa, Asia e America Latina per espandere le coltivazioni di canna da zucchero, mais e olio di palma, che sono le regine dei biocombustibili. Tutte produzioni, oltretutto, sottratte all’alimentazione umana, per quanto vi siano fonti vegetali non concorrenziali con la produzione di cibo, come gli scarti agricoli e la jatropha. Un recente rapporto della ONG britannica Oxfam, infatti, ha calcolato che, nel 2008, i terreni utilizzati per produrre biocombustibili avrebbero potuto nutrire 127 milioni di persone in un anno.

Il 16 ottobre a Roma vedremo al lavoro per la prima volta il Forum di risposta rapida per l’emergenza alimentare, istituito in seno al G20 un anno fa e presieduto dalla Francia. L’annuncio del dimezzamento dell’obiettivo del 10% di biocombustibili nell’Unione Europea potrebbe preludere a misure che forse, per la prima volta, incideranno realmente su questo delicato argomento.

La terza indiziata per l’attuale aumento d
ei prezzi è la speculazione finanziaria sulle commodities alimentari compiuta attraverso lo strumento dei futures. Tre importanti banche tedesche, sotto la pressione dei propri clienti e delle ONG, hanno pubblicamente annunciato di avere rinunciato all’utilizzo di questo tipo di investimento, nato per proteggere produttori e venditori e diventato elemento di destabilizzazione del settore, complice un mercato finanziario globale senza regole e senza freni. La Francia, il Paese che da sempre, con la destra o con la sinistra al governo, ha spinto per l’adozione della Tobin Tax, potrebbe spendersi perché, oltre a mettere sotto controllo il mercato del biocombustibile, si tolgano dal paniere finanziario i derivati sugli alimenti di base.

Sarebbero piccoli grandi passi verso il tanto agognato, ma sempre sabotato, governo mondiale dell’economia: almeno per quanto riguarda le regole e la salvaguarda dei settori vitali, come sono l’acqua, la terra e il cibo. Il G8 non ci aveva mai nemmeno provato. Ora è il turno del G20, nel quale siedono sì i più grandi produttori mondiali di alimenti, ma anche Paesi a rischio carestia qualora i prezzi della farina impazzissero. Sarà interessante capire se su alcuni punti basilari, come il diritto all’alimentazione dell’umanità, stia o meno prendendo forma un nuovo equilibrio, un nuovo assetto che preannunci la fine di questa lunga transizione economica dovuta alla crisi delle potenze dell’800.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)


In questi ultimi mesi i media che si occupano di economia internazionale hanno dedicato particolare attenzione all’aumento del prezzo dei combustibili e dei cereali. Un fenomeno che riporta prepotentemente sul tavolo dei Grandi il tema della sicurezza alimentare: nonostante in molte zone del pianeta sia sempre stata precaria, da tempo la si dava per acquisita a livello globale.

L’attuale penuria di cereali, alla base della crescita dei prezzi, non può essere ricondotta a una sola causa. Dipende piuttosto da un insieme di situazioni concomitanti che hanno modificato velocemente la mappa della disponibilità di alimenti: cambiamento climatico, aumento dei consumi di carne in Asia, boom della produzione di biocombustibili, variazione dei modelli di consumo, operazioni di speculazione finanziaria…

Da quelle ambientali a quelle economiche, tutte queste concause appaiono legate a doppio filo alla nostra cultura dei consumi. Ecco perché, per interpretare la crisi della disponibilità di alimenti nel mondo, è indispensabile fare riferimento al nostro modello di sviluppo. I danni che stiamo provocando ai millenari equilibri agricoli mondiali sono profondi, in alcuni casi addirittura irreversibili: è il caso della perdita annuale di centinaia di migliaia di ettari di terre fertili, rese sterili o dal cambiamento climatico, o dall’uso intensivo della chimica e dall’erosione da ipersfruttamento.

Come sempre accade in economia, c’è chi da questa situazione ha ricavato un nuovo slancio economico. Grazie all’impennata dei prezzi, diversi Paesi stanno aumentando le loro quote di produzione di alimenti sui mercati internazionali: maggiori entrate permettono infatti di modernizzare le tecniche agricole e quindi di accrescere le rese, oltre a far lievitare i guadagni.  I piccoli e medi agricoltori devono però fare i conti con lo smisurato peso politico ed economico dell’agrobusiness internazionale: lo stesso che negli anni Novanta ha investito ingenti capitali per acquistare o affittare terre produttive che oggi sono orientate in buona parte alla produzione transgenica di cereali (mais e grano) e leguminose (soia) destinati al mercato del foraggio e del biocombustibile.

Questo orientamento della produzione agricola sta determinando il paradosso di Paesi esportatori netti di alimenti che in realtà hanno problemi a rifornirsi di prodotti base per l’alimentazione. Proprio negli ultimi mesi il Paraguay, quarto esportatore mondiale di OGM, ha avuto bisogno dell’aiuto dell’Unione Europea per fare fronte a una carestia originata da un lungo periodo di siccità che ha risparmiato soltanto la soia della Monsanto. Ciò perché nei Paesi agroesportatori le scelte e le tecniche produttive sono dettate dal mercato internazionale anziché dal mercato interno o regionale.

Si vive il paradosso di un’agricoltura sempre più ricca, ma incapace di generare lavoro e di radicare sul territorio le popolazioni rurali, che continuano a migrare verso le città. Il tutto in un contesto di “corsa alla terra” che vede la Cina, i Paesi arabi e le tigri asiatiche competere tra loro per accaparrarsi vaste superfici agricole in Africa e America Latina, necessarie per produrre in proprio alimenti e olii vegetali destinati a diventare biocombustibili.

In questo scenario davvero poco esaltante ci sono diverse esperienze in controtendenza che potrebbero diventare validi esempi per un diverso modello di sviluppo. È il caso dei circuiti a filiera corta e degli orti urbani, che però da soli non bastano a invertire la tendenza generalizzata. La politica, che in buona parte del mondo ha rinunciato al suo storico ruolo di regolamentatore del mercato, deve velocemente tornare a concepire strategie di sviluppo sostenibile per l’agricoltura. Magari prestando orecchio allo slogan scelto dalle associazioni di contadini familiari, “per un’agricoltura con agricoltori”: la banalità è solo apparente, non c’è nulla di scontato.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)