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Tra le vittime della grande crisi economica iniziata nel 2008 c’è sicuramente il multilateralismo. Almeno, il multilateralismo inteso come l’armonizzazione regionale dei mercati delle merci, dei servizi e dei capitali in preparazione di un unico mercato mondiale, secondo l’orizzonte prospettato dal WTO: una realtà che già esiste nell’Unione Europea, nel Nafta e nel Mercosur, dove le merci girano senza dazi né barriere, anche se, nel caso del Nafta, lo stesso non vale per le persone. La presidenza Obama si era congedata con la fine dei negoziati per un grande accordo regionale (cioè il TPP, l’area di libero scambio di 12 Stati dell’area del Pacifico), e con il TTIP con l’Unione Europea in discussione. La presidenza di Donald Trump ha ribaltato il tavolo cambiando radicalmente strategia, passando dalla costruzione di aree di libero scambio che escludessero la Cina all’isolazionismo e alle ritorsioni per equilibrare la bilancia degli scambi laddove questa pende a sfavore di Washington.

Per questo le comunità multilaterali non interessano a Trump, perché portano benefici a tutte le parti in gioco e non modificano, se non di poco, il saldo finale. Il TPP ha subito un duro colpo da quando gli USA si sono ritirati, ma gli altri Stati del “club” hanno deciso di continuare lo stesso da soli. Trattandosi di un’area di Paesi del Pacifico, è scontato che la Cina proverà a subentrare alla potenza americana. Il TTIP pareva morto e sepolto, ma a sorpresa il segretario statunitense al Commercio Wilbur Ross ha comunicato alla commissaria europea al Commercio, Cecilia Malmström, di essere pronto a chiedere al suo Parlamento un mandato negoziale per riaprire le trattative. È più una minaccia che una prospettiva di cooperazione: per Trump la ripresa del negoziato TTIP significherebbe tornare a insistere su quei punti che hanno precedentemente stoppato il dialogo, per esempio le questioni dell’agroalimentare e della giustizia, per poi ritenersi libero di applicare dazi e penalità all’Europa rea di non voler accettare la sua “generosa offerta”.

Dunque il negoziato, come affermava il Comitato No TTIP, non era davvero su un binario morto, e oggi potrebbe preludere a una vera e propria guerra commerciale. I contenuti critici del TTIP non riguardano più solo il principio di precauzione sull’alimentare, gli OGM o i tribunali privati. Ora quel trattato potrebbe diventare una clava da usare contro l’Unione Europea perché si adegui ai bisogni dell’inquilino della Casa Bianca. Trump deve disperatamente portare a casa risultati prima delle elezioni di midterm (cioè di metà mandato) che daranno un segnale forte per capire se la sua avventura si concluderà tra due anni oppure tra sei.

Se il trumpismo non sarà un fenomeno destinato a scomparire a breve, l’Europa dovrà rivedere le sue priorità da subito e immaginare un suo posizionamento nel mondo a prescindere da Washington. Il Mercosur sudamericano aspetta da 15 anni la firma di un accordo di libero scambio e in Africa, proprio la settimana scorsa, è nata l’African Continental Trade Area, formata da 44 Stati che elimineranno il 90% di dazi e tasse sulle merci africane e apriranno alla libera circolazione delle persone. Il futuro del multilateralismo, ai tempi dello sbando statunitense, passa sempre di più dai Paesi che fino a poco tempo fa erano ermeticamente chiusi: in questo mondo alla rovescia, almeno questa è una buona notizia. Starà all’Europa dimostrare di essere in grado di costruire con questi Paesi rapporti equilibrati e reciprocamente vantaggiosi. C’è spazio per un nuovo multilateralismo che convenga a tutti, soprattutto a quelle aree come l’Africa finora escluse dalla globalizzazione.

Alfredo Somoza per #Esteri @RadioPopolare