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Arriva oggi in Parlamento la manovra economica di emergenza del Governo Berlusconi. Come era da aspettarsi, la maggioranza si è totalmente sfilacciata sulle misure di austerità da prendere. Si presenta infatti non un disegno di riforma della spesa pubblica, ma una serie di misure “per tamponare il buco”. Nessun orizzonte, nessuna logica. In 10 anni il Governo Berlusconi non è riuscito ad esempio a darsi una linea, giusta o sbagliata, sulle pensioni. In 10 anni non hanno mai ipotizzato un piano di rilancio dell’occupazione e dell’economia. In 10 anni non hanno mai fatto una simulazione su come potrebbe funzionare, meglio e a minor costo, la pubblica amministrazione. In 10 anni non si è mai ragionato sulla riforma degli enti locali e della politica in generale. In 10 anni non sono stati individuati quei “rami morti” che si potevano tagliare per liberare risorse, come ad esempio la Difesa. In 10 anni non si è mai capito come si potrebbe investire sul futuro dei giovani e su come stabilizzare e rendere il lavoro precario un capitolo nella vita lavorativa delle persone e non una condanna. In 10 anni ci si è fatti belli “tenendo i conti in ordine”. Ma anche l’ultimo degli economisti sa che i conti in ordine sono sì una precondizione per la stabilità di un paese con un debito record, ma che senza crescita non basta. Ci hanno detto negli ultimi 10 anni che Tremonti era un “genio molto apprezzato all’estero”. Ma chi, ma dove? Il vero Tremonti, quello della finanza creativa, sta colpendo ancora con misure a casaccio per fare cassa. Gli enti locali si tagliano in base al numero di abitanti, anche se nei piccoli comuni di montagna (la stragrande maggioranza dei tagliandi) la politica è praticamente volontariato e in tutto si risparmieranno 6 milioni di euro. Si continua a insistere che il contributo di solidarietà colpisce i “ceti medi”. Ma sono “ceti medi” le persone  che hanno un reddito annuo superiore ai 90.000 euro? Ma stiamo scherzando? Per questo motivo il contributo rischia di saltare, e quasi sicuramente salterà, perché non colpisce affatto i ceti medi, ma quelli medio-alti e alti. Si vuole aumentare l’IVA? Ecco, la tassa universale che colpisce tutti e che avvicina il paese alla recessione. L’unica misura ipotizzabile in queste ore, una Patrimoniale che permetta di abbassare da subito il debito e recuperare credibilità, viene vista come il fumo negli occhi dal primo contribuente italiano, il Premier, che per solidarietà “di classe” resisterà fino alla fine.

E’ così si sta consumando questa estate tra drammi internazionali, come quello della guerra libica e tutto il suo seguito di disperazione e morte, e la pantomime di una politica che, in questo caso si può ben dire, diventa “inutile” perchè non riesce a assolvere il suo compito: governare, dare speranza, indicare un traguardo. E’ questo lo scandalo della politica italiana oggi, non i privilegi veri o immaginari. Invece la macchina della disinformazione (Libero in testa) ci propone il Menù di Montecitorio come pietra dello scandalo, e non che da quelle Aule non esca una mezza idea di come superare la crisi e tornare a crescere come società. Il contorno dello sbando sono i partitini neofascisti che rialzano la testa, il ritorno alla secessione padana e via stupidando.

Le “cassandre” di 10-15 anni fa, cioè i movimenti che da Seattle in poi hanno denunciato la fine di un modello di economia globale distruttivo e autodistruttivo, oggi vengono superate a sinistra dal Corriere della Sera. Sarkozy parla di Tobin Tax, la Merkel sospende le vendite allo scoperto delle Borse, la Lega difende i Pensionati, Scalfari parla di macelleria sociale. Allora, se siamo d’accordo che così non va perchè si insiste ancora con le ricette recessive e socialmente devastanti dei neoliberisti ? Forse perchè sta morendo un’ideologia, quella dei mercati allo stato brado dei liberisti, senza che si veda una nuova. O meglio, senza che si voglia vedere una nuova. Perchè se ora si coincide, destra e sinistra, sulla diagnosi (mercati impazziti, speculatori perversi, regole da rivedere, ecc.), le ricette elaborate da chi per primo aveva  visto bene, continuano a non piacere. Sarà perchè, contrariamente a quanto si è blaterato in questi decenni, le classi esistono ancora eccome! La differenza è che negli ultimi decenni c’è stato un patto politico tra ceti alti e ceti bassi delle società per spingere politiche liberiste, nella convenienza dei primi e nella speranza di partecipare alla festa dei secondi, che oggi comincia a incrinarsi. Così è successo in molti paesi dell’America Latina alla fine degli anni ’90, quando dalle macerie del neoliberismo sono emersi esponenti di una nuova classe politica progressista che ha ripristinato la centralità dei diritti, il ruolo dello stato nell’economia, il non considerare l’educazione e la sanità un “peso morto”.

Noi ci troviamo ancora un minuto prima di questa svolta epocale, ma se riusciamo a tenere a bada la demagogia e a non assecondare il populismo dei pentiti dell’ultima ora, possiamo farcela. Ci vuole testa fredda e superare il complesso di inferiorità che storicamente una parte della sinistra ha avuto nei confronti dei guru del libero mercato. Sono tempi duri, il fallimento dell’ideologia degli ultimi 20 anni è davanti agli occhi di tutti, non è più tempo di negoziare un urgente e necessario riformismo radicale.  

In queste ore stiamo vivendo una situazione che rasenta la  fantapolitica. Il debito degli Gli Stati Uniti declassato, la Grecia fallita che cede la propria sovranità politica, i cinesi che diramano comunicati stampa di fuoco dando lezioni di economia agli  Stati Uniti e fanno pesare, per la prima volta pubblicamente, la loro posizione privilegiata in quanto “fabbrica del mondo” e principali creditori dell’Occidente. Paesi di calibro medio-grande, come la Spagna e l’Italia, “commissariati” dal nuovo Direttorio europeo formato da Francia e Germania con la partecipazione di Gran Bretagna e USA.

Siamo di fronte a un capovolgimento delle certezze che si erano consolidate nei decenni precedenti, e in qualche caso, nei secoli: i paesi “centrali” non possono fallire a differenza dei paesi “periferici”; gli organismi finanziari (FMI, Banca Mondiale, BCE) possono elaborare (e imporre) ricette per i paesi periferici indebitati ma mai azzardarsi a dare consigli ai “Grandi”; le agenzie di rating non mordono la mano del padrone. Tutto questo è successo in questa settimana di follie e ancora di più. Negli USA, il leghismo dei tea party è quasi riuscito a fare andare il paese in default, mentre il leghismo di casa nostra, dimenticando per un momento i “grandi temi” della lotta alle donne velate e ai chioschi di kebab, ora diventa europeista per paura di vedere sfumare i BOT dei suoi elettori.

Ma si poteva prevedere questa tempesta perfetta? Nei dettagli forse no, soprattutto perché molte di queste cose erano inimmaginabili, ma se allarghiamo lo sguardo sì. La radice più profonda della crisi odierna va cercata nella progressiva ritirata della politica a favore dell’economia. L’ubriacatura post Muro di Berlino che, secondo tanti, confermava l’inutilità dello Stato incapace, predone, antieconomico. Il paradosso è che oggi l’unico Stato in grado di fare la voce grossa e richiamare all’ordine gli occidentali è la Cina, paese nel quale il partito unico ha sì liberalizzato l’economia, ma tenendo saldamente le redini del controllo sul mercato e agendo su disegni decennali senza mai contraddirsi. In secondo piano, altri paesi emergenti oggi si sentono più forti. Il Brasile che durante gli otto anni di Governo Lula ha dato una nuova centralità allo Stato, rendendolo protagonista del rilancio industriale e strategico del paese. Oppure l’India, che malgrado i suoi mille problemi e complessità, non ha mai licenziato lo Stato quale regolatore del mercato.

Noi paghiamo invece lo stop sulla via della costruzione europea. Abbiamo una moneta senza Stato, caso unico nella storia, e 27 Stati senza moneta. Un’entità monetaria, l’euro, che non ha dietro di sé un governo che possa decidere, ma una miriade di stati con le proprie politiche, logiche e situazioni debitorie. Una moneta senza un Ministero delle Finanze dietro è un rischio gigantesco, che in questa ore si sta materializzando con caratteristiche esplosive: il “commissariamento” di interi paesi. Ma chi sono i “commissari”? Anzitutto sono politici che hanno una legittimità  nei paesi in cui sono stati eletti, ergo, non hanno nessuna legittimità democratica nei paesi “commissariati”. Sono commissari autoproclamati in base alla consistenza delle loro economie, ma soprattutto alla consistenza dell’esposizione del proprio sistema bancario nei confronti dei paesi commissariati. Sono quindi interessati soltanto al rientro dei capitali esposti senza fare distinguo sulle modalità che verranno utilizzate dai commissariati per trovare i soldi. In sostanza, così come il FMI per decenni ha imposto le sue “ricette” ai paesi indebitati del Sud del Mondo, per tutelare i capitali dei creditori e senza fare caso a come si raggiungeva la stabilità, lo stesso fa oggi la BCE, l’arma dei commissari nei confronti dei paesi dell’Europa mediterranea. In questo caso però vengono intaccati alcuni principi sacrosanti del processo europeo, come la creazione di uno spazio sociale e la parità dei diritti tra i cittadini della comunità. Tutto ciò viene a cadere davanti agli interessi dei commissari e delle banche dei loro paesi.

Questa situazione rende il ben servito definitivo alla politica tremontiana delle piccole furbizie, dei condoni, degli scudi fiscali e infrange il mito del bravo Ministro che “sa tenere i conti in ordini”. All’Italia non serve un ragioniere, non serve semplicemente tenere i conti in ordine. L’Italia deve ripensare il proprio profilo produttivo, capire cosa tagliare e in cosa investire, immaginare come ricollocarsi nella globalizzazione e come avvicinare all’Europa, per quanto riguarda opportunità e diritti, i giovani. Tutto questo manca da anni e oggi viene presentato il salato conto. Il Ministro è stato un bravo ragioniere, peccato che non c’è più crescita, che i giovani laureati emigrano, che le imprese scappano, che l’evasione fiscale continua a togliere risorse, che i servizi sono erogati seguendo logiche populistiche e non realistiche.

Ora siamo commissariati, ma di patrimoniale non si vuole parlare, almeno a “Palazzo Merkel”, e si sentono già le litanie sui tagli “inevitabili” all’assistenza, alle pensioni, al mondo del lavoro. La cosa più preoccupante è che in questo si salvi chi può, non c’è nemmeno l’ombra di idee per andare oltre lo tsunami.

Alfredo Somoza

Un’estate che non si dimenticherà facilmente questa del 2011. Fino a pochi mesi fa il film più gettonato dal governo era “E la nave va”, da ieri “Titanic”. Abbiamo sopportato dosi massicce di propaganda in questi anni sull’indubbia salute dell’economia italiana, sul fatto che anche se non era ancora arrivata si era già usciti dalla crisi, sulla solidità del sistema bancario perché non esposto all’estero e delle famiglie italiane tutte piccole proprietarie. Il debito pubblico? Nulla di male, è quasi un incentivo per essere virtuosi.

Dopo le due batoste primaverili, Amministrative e referendum, ma soprattutto con l’aggravarsi della crisi dell’eurozona, una ad una quelle sparate si sciolgono con la calura estiva. Se il film che si gira ora è Titanic, vuol dire che non c’è salvezza (ma Tremonti ha mai visto il film?), il triste finale è già scritto. La crisi è arrivata, e da tempo, e per ora non si vede né quando né come si uscirà. Il dato della (de)crescita economica italiana nell’ultimo decennio è agghiacciante, soltanto Haiti e Zimbabwe hanno fatto di peggio. Il dato sull’occupazione e l’emigrazione giovanile va oltre la soglia di preoccupazione. Il sistema bancario italiano ha una capitalizzazione “bulgara” basata su titoli di stato italiano, il che vuol dire che se l’Italia va male, le banche affondano. La gente in una percentuale di circa l’80% è proprietaria della propria casa, ma questa non produce alcun reddito e se si vende si finisce sotto i ponti. Tutti qui i “punti di forza” che permettevano di cantare vittoria un anno fa mentre tracollavano Grecia, Portogallo e Irlanda spiegando che in Italia era diverso? Certo che la situazione greca non si può confrontare con quella italiana, ma non per questo si poteva stare tranquilli.

L’improvvisazione è la propaganda invece del varo di politiche economiche che, pur rispettando parametri di austerità, investissero sul rilancio economico lasciano spazio ora alla lunga agonia del berlusconismo, dell’economia e, ahinoi, della società italiana. I tagli indiscriminati, seguendo logiche “di classe”, cioè andando a colpire i ceti medi e quelli medi bassi, ma risparmiando gli altri che per solidarietà “di classe” non si vuole toccare, ci mettono per l’ennesima volta davanti agli occhi una verità sempre negata: l’economia non è una scienza neutrale come per decenni i liberisti hanno fatto credere. Nella quale dovrebbe prevalere soltanto “il buon senso”, che è sempre a senso unico. Si può declinare austerità e rilancio senza fare macelleria sociale, ma anche senza demagogia. Perché si continua ad esempio ad insistere sulle esenzioni in base all’età e non al reddito? Ultima inciampata su questa logica la neo-giunta Pisapia che aveva proposto di non fare pagare i mezzi pubblici agli over 65. Ora, fatti due conti, scoprono che così potrebbero far fallire l’ATM vista la composizione demografica di Milano. Ma scusate, perché dovremo farci carico del biglietto del Sigr. Berlusconi, over 65, se decidesse di prendere i mezzi pubblici milanesi?.

La più grande rivoluzione che si possa immaginare oggi in economia non è il logorato slogan del taglio della spesa della politica o delle false pensioni di invalidità. Quelle vanno tagliate e basta. L’economia oggi va ripensata in base ai grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi 20 anni: invecchiamento della popolazione, migrazioni, delocalizzazioni, globalizzazione, nuove tecnologie. Abbiamo un impianto conoscitivo sul mondo del lavoro e dell’economia che non corrisponde più alla situazione reale. Continuiamo a fare i conti con una capacità di spesa dello Stato che non esiste, oppure non riusciamo ad individuare nuovi filoni che potrebbero rendere parecchio. La nuova frontiera della sinistra deve passare non dalla conservazione dell’esistente a prescindere, che ad esempio condanna i giovani a un futuro buio, ma dal fornire una nuova lettura della complessità dalla quale fare scaturire nuove idee sulla società e sull’economia.

Le battaglie difensive sono ormai inutili, le manovre economiche come quella odierna del governo Berlusconi sono odiose ma senza un pensiero alternativo obbligatorie, anche con un governo di diverso colore.

Come alla fine dell’800, quando i grandi movimenti politici e sociali iniziarono le lotte per la conquista dei diritti in base ad una lettura della realtà in cui vivevano, anche oggi, ancora gli inizi del XXI secolo ci vuole una rilettura dell’esistente per partire all’offensiva. Tutto il resto è conservazione, non progressismo.

 

Alfredo Somoza

 La tornata referendaria insegna un sacco di cose che parevano, almeno in Italia, soltanto teoria. Ha ragione Di Pietro quando dice che non c’è un collegamento diretto tra voto e partiti. E questo perché, per la prima volta in decenni, è evidente come alcuni temi sono veramente trasversali alle scelte partitiche dei cittadini. L’ultimo esempio di questo tipo?: il precedente referendum sul nucleare e quelli su divorzio e aborto. Perché non c’è un particolare collegamento con i partiti’? Per il semplice fatto che, oltre a piccole forze come SEL e IDV, i “grandi partiti” del centrosinistra e del centrodestra su questi temi avevano posizioni contrarie al sentire popolare oppure contraddittorie. Ci ricordiamo chi aveva raccolto le firme? Ecco, non sono gli stessi che hanno festeggiato, erano molti di meno. Questa vittoria referendaria è invece il trionfo dei movimenti ambientalisti, di impegno sociale, degli eredi di Genova e dei Forum Sociali, dei GAS, dei boy scouts, di P. Zanotelli e del forum per l’Acqua.. Energia e acqua, due principi della vita. L’anima del “creato “per i credenti, l’essenza della vita per tutti. E quando la posta in gioco è di questo calibro, non ci sono distingui politici né partiti che tengano. Altro dato inequivocabile dell’essenzialità dei temi in discussione è stato il risultato dei “no” espressi, il più basso della storia tra i referendum che hanno raggiunto il quorum. Cosa sarebbe successo se gli elettori all’estero fossero stati informati e non ignorati? Se la televisione di Stato avesse assolto il suo ruolo di servizio pubblico? Se non si fossero utilizzati tutti i trucchi e i trucchetti perché non si sapesse cosa si votava, come e quando? In un paese normale, sicuramente la percentuale dei votanti e dei sì sarebbe stata ancora più massiccia e trasversale. Non ho toccato il tema del giusto impedimento perché, contrariamente a quanto detto da Travaglio nella diretta della 7, penso che sia stato ininfluente per il raggiungimento del quorum. Su quel voto, se fosse stato presentato da solo, gli elettori di centrodestra avrebbero fatto quadrato come in passato, cosa che invece non è funzionato perché il quesito era trainato dagli altri due. Allora, se acqua e energia sono temi così vitali da sparigliare gli schieramenti, e in ambedue i casi la proposta era quella dei movimenti e, allargando il campo visivo con molta cautela del centrosinistra, perché non si parte proprio da qui per definire una piattaforma di riforme e di riconversione della società che diventi infine piattaforma per le prossime Politiche? La grande riscossa dei partiti popolari in America Latina partì proprio da questi punti. In Bolivia, oggi governata da un sindacalista indio, la popolazione di Cochabamba si ribellò alla privatizzazione dell’acqua nel 2000 e questo fu l’inizio della critica al neoliberismo, alla precarietà del lavoro e alla svendita del patrimonio pubblico che erano stati assunti come dogma. Noi ci arriviamo nel 2011, ma la cosa importante è che si riesca a cogliere questa forza inedita irradiata dai referendum per farla diventare buona politica, rivisitazione delle peggiori pagine della politica di centrosinistra e di centrodestra degli ultimi anni. Quando prima o poi avverrà la fine del berlusconismo, sapremo raccogliere questo segnale e avremo concordato come vorremo fare perché l’acqua rimanga pubblica, ma gli acquedotti funzionino bene e non siano fonte di corruzione? Riusciremo a spiegare che non vogliamo il nucleare perché abbiamo un piano credibile per le rinnovabili? Ci metteremo d’accordo perchè il lavoro precario torni ad essere una scelta a favore di chi ha bisogno di tempo per altre cose e non più una condanna a vita. Troveremo la quadra tra gli impegni con l’Europa e il rilancio dell’economia, risparmiando sul costo dello Stato perché faremo delle scelte anche in materie tabù come la Difesa? Devono essere questi i punti dai quali partire invece di passare le giornate a fare le somme aritmetiche tra le forze del centrosinistra e del Centro illudendosi che basti. C’è sete di politica vera, di sciogliere i nodi che oggi fanno vedere il futuro sulla gamma del grigio. Chi saprà dare risposte concrete a questo bisogno sarà già a metà strada.

A quando la più importante riforma da fare se si vuole utilizzare i referendum come strumento di democrazia diretta? :

– Abolire il quorum, alzando la soglia di raccolta di firme a 1-1,5 milione per presentarli e poi chi vota vota. Sarebbe l’unico modo di togliere alla “politica” lo strumento dell’astensionismo, che ricordiamo,  è stato usato a referendum alterni sia dalla destra sia dalla sinistra.

– Altra riforma da fare: istituire il referendum propositivo. Cambiare il risultato del referendum abrogativo è facilissimo come abbiamo già visto (i Ministeri dell’Agricoltura e del Turismo, che godono di ottima salute, erano stati “aboliti” da un referendum). Diverso è traviare il significato di un referendum propositivo.

Altro tema, speriamo che il voto degli italiani all’estero non concorra a formare il quorum, anche se sul tema ci sono diverse interpretazioni. Non è possibile che su temi, non di indirizzo generale, come le Politiche, ma di interesse specifico, come l’acqua o l’energia, possano decidere le sorti di un referendum cittadini italiani residenti all’estero e non contribuenti.

Da dove si comincia?

Siamo maturi?

Pubblicato: 8 giugno 2011 in Italia
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Niki Vendola, intervistato oggi dal Corriere della Sera, lancia l’idea del soggetto unico della sinistra, insieme al PD, per poi allargare le alleanze al Centro. Un discorso simile a quelli fondazionali del PD, che tra gli obiettivi si poneva proprio quello di rappresentare il centrosinistra diffuso per poi negoziare con centro e “radicali” . Un disegno che è ancora tutto da dimostrarsi e che rispecchia la visione di Veltroni, post ideologica e post partitica, liquida e mediatica, basata sui testimonial e  “facce nuove”.  Un’insieme di stimoli e di icone che sa più di sommatoria che di sintesi, un po come Jovanotti nel noto rap nel quale si dichiara seguace di Che Guevara e di Madre Teresa  di Calcutta!

Ed è questo il punto per quanto riguarda il PD, cos’è questo partito, dove si colloca internazionalmente, a quali ceti si sente più vicino, quali sono i principi negoziabili e quelli che non lo sono, qual’è la sua posizione sul grande tema della laicità dello Stato e dei diritti civili, cosa pensa in economia e in ambiente, come intende riformare il welfare? Tutte domande alle quali non si da una risposta perchè rispondere vorrebbe dire espellere pezzi di partito che si identificano soltanto nell’operazione unificante, ma non totalmente nei contenuti mai chiariti fino in fondo. E’ grande la difficoltà a relazionarsi  con un soggetto che, non avendo chiara la propria identità, immagina alleanze e geometrie variabili diverse senza soluzione di continuità. Un partito che un giorno parla di alleanze al centro, l’altro di alleanze con SEL e IDV, per tornare il giorno dopo a chiedere “prove di serietà” a Vendola. Un partito che non parte da un punto fermo, cioè l’alleanza con le altre forze riformatrici della sinistra (SEL e IDV), prima di discutere eventuali alleanze al centro.

Il futuro del PD non è però un argomento che non deva preoccupare chi non fa parte della sua platea di elettori, è il grande tema per il futuro della sinistra italiana. Senza un PD forte non esistono possibilità, almeno oggi, di strappare il governo del paese alle destre. Questa costatazione non deve però stimolarci a buttarci nella loro mischia interna essendo anche SEL un movimento-partito nuovo che ha bisogno di energie e di dibattito. Il travaglio del PD potrebbe avere anche sviluppi che nessuno osa commentare in pubblico,  come ad esempio un ritorno alle due forze costitutive originali che stabiliscono un patto elettorale allo stile dell’Ulivo. Soltanto in uno scenario di questo tipo avrebbe senso discutere di un soggetto unificato della sinistra, con un forte ancoraggio nella tradizione socialista e socialdemocratica europea, ma anche in quella ambientalista e libertaria. In un contesto politico del genere si potrebbe definire una piattaforma condivisa per quanto riguarda diritti civili, ambiente, welfare, lavoro. Ma siccome di questo scenario nessuno parla e per ora è semplicemente fantapolitica, tornando a quello odierno, penso sia bene rinforzare, definire e fare conoscere cosa pensa SEL e cosa propone di concreto lasciando perdere operazioni di captazione “dall’alto” che sono sempre per definizione perdenti. La “captazione” degli elettori che oggi votano altri partiti del centrosinistra si ottiene soltanto con i contenuti proposti e con la qualità delle persone che si sceglie per realizzarli. L’esperienza delle primarie e dei sindaci eletti all’ultima tornata penso siano la dimostrazione che quanto più distanti si è dai giochi di palazzo migliori sono i risultati. Alle prossime Politiche SEL eleggerà un numero di parlamentari non indifferente. Pensiamo piuttosto oggi come sceglieremo queste persone, visto che si voterà sicuramente con l’attuale sistema. Quali segnali vogliamo dare, quali temi prioritari difendere in Parlamento. Pensiamo a primarie per i candidati. Oggi una fetta importante dell’elettorato reale e potenziale del centrosinistra è interessato a idee nuove e a come realizzarli. Fa bene Vendola a dire che il “il vecchio welfare non regge”. Avanziamo le nostre proposte per fare capire che è cosa buona tenere in vita un sistema di welfare e come lo si può riformare non per motivi ideologici, ma semplicemente perché le premesse demografiche e sociali sulle quali è stato impostato quello in vigore sono radicalmente cambiate nell’ultimo secolo. Quindi come va riformato: proposte, dati, sostenibilità nel tempo. Come fare e come faremo.  Lasciamo il gioco mediatico delle alleanze costruite nei salotti televisivi ai professionisti del bla bla, concentriamoci sul lavoro che ci attende.  

Si sta per concludere tra qualche ora la tornata elettorale amministrativa. Elezioni nelle quali doveva prevalere l’aspetto locale del voto, ma che sono state caricate, come purtroppo di consuetudine, di significati estranei alla contesa. E’ vero che le amministrative sono sempre un termometro della tenuta delle forze politiche che governano il paese, ma la continua esasperazione e soprattutto il fare entrare nella campagna elementi tipici delle elezioni politiche condanna i cittadini a dovere votare più per una questione di fiducia, o di ideologia, che in base ai programmi. Forse con queste elezioni, almeno in alcune città, questa tendenza si è invertita. Anzitutto bisogna dare atto che laddove sono state celebrate primarie per la scelta del candidato sindaco (nel centrosinistra ovviamente, nel centrodestra non si elegge nessuno) ci sono state campagne che hanno motivato di più l’elettorato del centrosinistra e che sono stati lanciati sull’arena politica nuove facce, come a Cagliari o a Iglesias, oppure outsider come Pisapia o Merola oppure confermati leader di caratura nazionale come Fassino. Tutti candidati legittimati dalle primarie. Si vinca o si perda, di questi candidati non si potrà mai dire, come invece ha detto Berlusconi dei suoi, che ” le elezioni non sono andate bene per via della qualità dei candidati”. I nostri, belli o brutti, c’è li siamo scelti e quindi o si vince o si perde insieme.  A Napoli invece, dove le primarie sono finite in un pasticcio, il centrosinistra arranca e Luigi De Magistris forse avrà qualche possibilità di farcela. A Napoli dove Vendola ha fatto autocritica, così come Ranieri del PD, perché dalle primarie pasticciate si è usciti con un candidato imposto dai vertici che non è arrivato al secondo turno. Qualcosa di simile sarebbe probabilmente successo a Milano se non fossero state “imposte” dai sostenitori di Pisapia le primarie . Sono prove generali di nuove geometrie di coalizione in vista delle prossime (tra 6 mesi, 1 o 2 anni) elezioni politiche. Quando si arriverà al dunque si sentiranno, come già si sentono, le voci che consigliano la svolta moderata (considerando il moderatismo un valore in se a prescindere) di alleanze con il Centro che escluda ovviamente le primarie. Dall’altra parte, la voglia di creare un asse riformista (il riformismo è già un programma di governo) incentrato sul PD, IDV e SEL attorno al quale aggregare altre forze. Vergognandovi un po tutti dalla brutta figura che ha fato Berlusconi con Obama, non riusciamo però a vedere le nostre di contraddizioni e di “vergogne”. In Europa i due campi, quello progressista e quello conservatore, sono ben distinti e spesso vede come antagonisti forze che fanno riferimento al PSE o al PPE. In Italia la mancanza di coraggio del centrosinistra nello scegliere il campo entro il quale sviluppare la propria azione politica è notevole. Un campo riformista, cioè che si ponga come obiettivo riformare in senso progressista la società e l’economia, non può scindere i diritti civili da quelli sociali ed economici. Fanno parte di uno stesso pacchetto. Noi vorremo invece condividere i diritti sociali, ma non discutere di quelli civili per “non ferire sensibilità”. E’ questo non esiste in nessun altro paese europeo, nei quali le diverse  “sensibilità” esprimono blocchi politici raramente alleati. Il PSOE spagnolo, che ha rovinosamente perso le elezioni amministrative con i popolari, non si sogna nemmeno di allearsi con altre “anime”, semplicemente si metterà al lavoro per elaborare una nuova proposta politica e aprire a una nuova classe dirigente finché ritornerà ad essere maggioranza. Sappiamo che in Italia le cose non sono mai lineari e che a Roma non ha sede soltanto il Governo Italiano, ma il maggioritarismo a qualsiasi costo, rischiando di generare governi paralizzati dai veti incrociati come successo con l’ultimo Governo Prodi devono ormai fare parte soltanto dei libri di storia.

In conclusione, con queste amministrative si conferma il metodo delle primarie, da estendere alle politiche finché non sarà modificata la legge elettorale e si tornerà al voto di preferenza. E’ un grande passo in avanti e deve essere difeso come una conquista dalla quale non tornare indietro. Diamo atto anche del giusto atteggiamento dei candidati sindaci e dei leader nazionali del Centrosinistra tutto che non hanno accettato le provocazioni e continuato a parlare sempre dei problemi delle città nelle quali si votava. Primarie, rispetto dell’elettore e partecipazione sono tre elementi da non trascurare quando saremo chiamati alla lotta per porre fine definitivamente agli anni del berlusconimso.

Alfredo Somoza