A quando la più importante riforma da fare se si vuole utilizzare i referendum come strumento di democrazia diretta? :
– Abolire il quorum, alzando la soglia di raccolta di firme a 1-1,5 milione per presentarli e poi chi vota vota. Sarebbe l’unico modo di togliere alla “politica” lo strumento dell’astensionismo, che ricordiamo, è stato usato a referendum alterni sia dalla destra sia dalla sinistra.
– Altra riforma da fare: istituire il referendum propositivo. Cambiare il risultato del referendum abrogativo è facilissimo come abbiamo già visto (i Ministeri dell’Agricoltura e del Turismo, che godono di ottima salute, erano stati “aboliti” da un referendum). Diverso è traviare il significato di un referendum propositivo.
– Altro tema, speriamo che il voto degli italiani all’estero non concorra a formare il quorum, anche se sul tema ci sono diverse interpretazioni. Non è possibile che su temi, non di indirizzo generale, come le Politiche, ma di interesse specifico, come l’acqua o l’energia, possano decidere le sorti di un referendum cittadini italiani residenti all’estero e non contribuenti.
Da dove si comincia?
Ottime riflessioni Alfredo! Grazie
Michela.
Io lo dico da anni. Innalziamo pure il numero di firme da raccogliere per relaizzare un referendum, ma poi chi vota vota. Gli assenti hanno sempre torto. E’ un vero peccato spendere tempo soldi ed energie e vanificare il tutto se non vanno a votare il 50% degli aventi diritto.
Difficile dare una priorità ma ,concordo con entrambi, mi sembra prioritario abolire il quorum . Certi partiti sarebbero costretti a prendere posizione in un senso o nell’altro chiudendo il capitolo poco edificante che si realizza sistematicamente con la proposta di “andare al mare o ai monti” che di fatto porta solo alla “diseducazione civica”.
Il tema del quorum è trasversale ai due tipi di referendum. In Val d’Aosta nel primo referendum propositivo svoltosi in Italia il quorum era stabilito al 45% e il referendum non passò.
Come dici tu è molto semplice vanificare l’esito di un referendum abrogativo ed è più difficile intervenire su uno di tipo propositivo anche perchè in un certo qual modo si ribalta il sistema, ovvero da una proposta legislativa che raggiunge un positivo risultato nasce la legge. Ma a volte se penso a come la Svizzera ( che usa a piene mani questo strumento) ha “risolto” alcune questioni di carattere religioso o di diritti civili, mi viene la pelle d’oca. Nel 2009 un referendum propositivo proposto dall’estrema destra ha messo al bando la costruzione di minareti suscitando le proteste e le preoccupazioni di vasti strati della società civile, della Chiesa e non ultima dell’Unione Europea. Rischi della democrazia diretta e paure contingenti della popolazione !
Concordo in pieno con quello che dici in merito al voto degli italiani all’estero ma aggiungerei a questo punto un quarto problema.
Gli italiani in Italia ma fuori sede. Se si pensa a quanti ( molti nella Pubblica Amministrazione) che lavorano stabilmente in regioni diverse da quella di residenza, si capisce quanti votanti in meno , cui di conseguenza non è garantito un diritto di democrazia diretta, ci sono ad ogni referendum . Del resto se è comprensibile che il voto debba essere espresso nel luogo di residenza su elezioni politiche amministrative non si capisce quale sia la difficoltà per referendum popolari se non di carattere organizzativo.
aggiungiamo il quinto Luciano, gli immigrati regolari in Italia, che pagano le tasse e che non possono esprimere il proprio voto su questioni che li riguardano anche come contribuenti (energia, acqua). Una violazione dei “principi dalla democrazia liberale”, oltre che del buon senso.