Posts contrassegnato dai tag ‘Putin’

Nella nostra realtà colpita dalla pandemia di coronavirus, le notizie che riescono a superare la marea di racconti sulla chiusura degli esercizi pubblici, gli inni cantati a squarciagola dai balconi o i consigli dei vip per non ammalarsi ci parlano, come sempre, di un mondo contraddittorio. Da un lato si ha finalmente la prova pratica di ciò che gli ambientalisti e la scienza affermano da decenni: e cioè che la combustione di petrolio e di carbone è la principale causa dell’inquinamento atmosferico, e di conseguenza del cambiamento climatico. Nelle località colpite da Covid19, gli indici di inquinamento sono crollati per via della quarantena di massa. Dalla Cina alla pianura padana. È la tragica dimostrazione empirica di quanto già si sapeva.

Dall’altro lato, nel mondo continua ad avanzare il totalitarismo. La manovra a tenaglia di Vladimir Putin per perpetuarsi al potere in Russia sembra ormai riuscita. Nominalmente la Russia è una democrazia, pur essendo in mano a un piccolo gruppo di politici e di affaristi, e pur detenendo il triste record per numero di giornalisti ammazzati, trecento, negli ultimi vent’anni. E ha bisogno di continuare a rispettare le apparenze democratiche. Putin ha quindi fatto ricorso a uno dei più consolidati trucchi sporchi delle neodemocrazie dell’America Latina: cambiare le regole in corso d’opera. Ha varato una riforma costituzionale che permette a un cittadino di essere eletto per due volte presidente, ma conteggiando i mandati solo dalla data di promulgazione della riforma stessa. Ora che la Corte Costituzionale ha dato il via libera, manca solo la formalità di un referendum popolare, indetto per il prossimo 22 aprile, che ovviamente sarà vinto dal presidente in carica. Alla fine di questo iter, nel 2024 l’uomo che ha vinto in Crimea, Ucraina e Siria, Vladimir Putin, potrà ricandidarsi per altri due mandati. E continuerà a gestire un potere che è nelle sue mani ininterrottamente dal 1999: una carriera al vertice della Russia più lunga di quella di Stalin. Un potere così longevo concentrato nelle mani di una sola persona chiude ulteriormente gli spazi di libertà e di democrazia.

Lo stesso sta accadendo in Turchia e in Egitto, dove Erdoğan e al-Sisi fingono anch’essi di guidare Paesi democratici. In realtà questa situazione non interessa molto al resto del mondo: anzi, nel contesto caotico di oggi si sente ripetere in continuazione che i Saddam Hussein, i Gheddafi, i Mubarak garantivano almeno la stabilità. Siamo dunque di fronte a una riduzione degli spazi di libertà individuale in Occidente, prima per il terrorismo poi per il virus, e a un ritorno alle democrature, cioè delle dittature che si vestono di democrazia, altra invenzione del laboratorio politico latinoamericano. Le proteste si circoscrivono al Paese in questione, ma a livello internazionale, se non si ha il palato troppo fine, le cose vanno bene. Alla fine si cerca sempre stabilità: un bene che si può raggiungere con la coesione sociale e politica oppure con il totalitarismo. Purtroppo, la strada che oggi va per la maggiore è la seconda: è quella più semplice e che offre agli interlocutori internazionali le maggiori garanzie.

Per un Paese democratico però non è un grande affare vivere in un mondo sempre più affollato di dittatori o aspiranti tali. Sono contagiosi, diffondono un virus non meno letale di quelli biologici. Certamente la democrazia non si esporta e chi dice di farlo di solito nasconde seconde intenzioni. Ma le democrazie possono fare scelte, pensare al di là dei propri interessi contingenti. Avere permesso a Putin e a Erdoğan di mettere sotto ricatto l’Europa con il gas e con i profughi è stato un errore fatale. Per uscirne bisogna spezzare la nostra dipendenza energetica e farci carico del disastro umanitario del Mediterraneo. Si può fare, i due dittatori nostri vicini senza queste armi di ricatto sarebbero molto ma molto meno potenti. La democrazia è una scelta e deve fare scelte. Adagiarsi, lisciare il pelo, subire senza reagire i ricatti di regimi autoritari dimostra solo una cosa che non è però sempre vera, che chi usa la forza vince.

 

 

Le modalità con le quali si è verificato il distacco della Crimea dall’Ucraina delegittimano un processo che avrebbe potuto avvenire all’interno del diritto internazionale.

L’instabilità in Ucraina, dovuta alle conseguenze di un movimento di piazza dai contorni poco definiti, entro i quali si annidano forze che si richiamano alle peggiori destre del passato europeo; la presenza maggioritaria in Crimea di popolazione di origine russa, e la tutela delle basi navali russe considerate strategiche da Mosca: tutto ciò non basta a giustificare il modus operandi di Putin.

In primo luogo, un Paese che ospita basi straniere, come anche l’Italia, legittimamente pretende ed esige che le truppe straniere in esse ospitate non incidano nelle vicende interne della nazione. Nel caso della Crimea, i soldati russi sono usciti armati dalle caserme diventando di fatto truppe di occupazione. La motivazione formale è stata la difesa dei cittadini russi residenti nella provincia. Molto simile, per esempio all’alibi utilizzato dagli Stati Uniti nel 1836 per invadere e annettere il Texas messicano. A questo controllo armato del territorio, giuridicamente paragonabile a un’invasione, è seguita la farsa del referendum per l’indipendenza della Crimea: che, da strumento legittimo per esercitare il diritto all’autodeterminazione dei popoli, è diventato plebiscito manipolato e controllato dall’invasore per legittimare l’occupazione.

Il referendum si è chiuso con il risultato scontato del 96% di favorevoli, una maggioranza ben superiore alla percentuale di russofoni della provincia. È avvenuto senza controllo da parte del Paese che – fino a prova contraria – esercita la sovranità sulla Crimea, cioè l’Ucraina, e senza la minima ombra di osservatori internazionali. È stato soltanto una “copertina” democratica utile a coprire il blitz di Vladimir Putin che, per la prima volta dal 1938 dell’Anschluss di Hitler nei confronti dell’Austria, modifica le frontiere dell’Europa senza colpo ferire e senza provocare alcuna reazione se non prese di posizione puramente retoriche.

Ci sarà un “prima” e un “dopo” le vicende della Crimea, e l’onda lunga di quanto è accaduto ci accompagnerà per molto tempo. Oggi in Europa qualcuno ha scoperto che gli Stati Uniti in ritirata e l’UE politicamente disarmata non possono arginare la politica di forza della Russia: l’unica vera potenza politica europea emergente.

Alfredo Luis Somoza

Crimea-referendum-CHappatte_090314