Archivio per la categoria ‘Turismo, turismi’

Le coste deserte e ventose della Penisola di Valdés (Parco Provinciale e Patrimonio dell’Umanità) sono il più grande set naturale per l’osservazione della fauna marina dell’Atlantico meridionale, che qui trova sicuro rifugio durante il periodo dell’accoppiamento. L’incontro più frequente si ha con il pinguino di magellano, che nidifica lungo tutta la Patagonia, comprese le isole subantartiche, e che raggiunge in gran numero le spiagge di Punta Tombo. Sembra che il nome “pinguino” provenga dall’espressione gallese “pen-gwyn” che significherebbe “uccello che non vola”. Secondo una superstizione diffusa tra i marinai inglesi, ospiterebbero le anime dei loro compagni annegati.

Il pinguino maschio è il primo ad arrivare sulla costa, e ritrova con incredibile precisione il nido lasciato da un anno. Lo segue la femmina qualche giorno dopo, accolta dal maschio con una danza. I pinguini magellanici sono alti 60- 70 centimetri, hanno un piumaggio nero sul dorso e bianco sul ventre. L’esemplare adulto presenta dei collari di piumaggio bianco, al contrario del giovane che è grigio e senza collari. Il periodo di riproduzione comincia i primi di settembre e termina a metà aprile. Il nido viene costruito sotto terra, fino a un chilometro dalla costa. Alla fine di settembre la femmina deposita due uova e l’incubazione dura circa 40 giorni. A tre mesi di età i piccoli hanno già il piumaggio giovanile e, una volta indipendenti dai genitori, possono andare in acqua e cominciare ad alimentarsi con il pesce.

La balena australe , detta anche “franca del Sud”, arriva nelle acque dei golfi Nuevo e San José nel periodo compreso tra i mesi di giugno e di novembre, risalendo dall’Antartico, per cercare in queste acque la tranquillità necessaria per l’accoppiamento e la gestazione. Questi golfi offrono l’ambiente ideale per lo sviluppo dei piccoli, grazie alla grande concentrazione di plancton e per la favorevole temperatura dell’acqua. Il periodo di gestazione dura circa 12 mesi, come anche il periodo dell’allattamento. Alla nascita, il balenottero è lungo circa 5 e pesa 600 chili. Consuma 200 litri di latte al giorno, e ogni 24 ore il suo peso aumenta di un centinaio di chili. Le femmine adulte misurano dai 12 ai 14 metri e pesano dalle 32 alle 37 tonnellate. I maschi sono un po’ più piccoli: 10-12 metri, con un peso di 30-35 tonnellate. La balena australe è una specie protetta in pericolo d’estinzione: ne restano all’incirca 3500 esemplari. Durante i mesi di agosto e settembre, si calcola che arrivino a Valdés almeno 500 esemplari. Unico predatore della balena australe, oltre all’uomo che l’ha cacciata per secoli, è l’orca, che attacca anche i leoni e gli elefanti di mare, arrivando in queste acque nei mesi da marzo a maggio.

Le coste della penisola sono infatti il rifugio preferito di numerosi esemplari di elefante marino , che formano una colonia continentale unica al mondo. Il nome è dovuto alle sue caratteristiche fisiche: un lungo naso a forma di proboscide e una mole imponente. Può arrivare a sei metri di lunghezza e quattro tonnellate di peso. L’organizzazione sociale dell’elefante di mare è basata sull’harem e un maschio adulto arriva ad avere fino a venti compagne. Per difendere l’harem e per mantenere il predominio sugli altri, i maschi sono costretti a non abbandonare mai le femmine, anche a costo di lunghi periodi di digiuno e violente battaglie contro gli avversari. Il ciclo riproduttivo comincia nel mese di luglio, con l’arrivo dei maschi che conquistano il loro dominio e aspettano le femmine che giungono solo durante le prime settimane di agosto. La nascita avviene durante i mesi di settembre e ottobre, dopo una gestazione di 11 mesi; ogni femmina può avere un solo cucciolo, che viene allattato per un mese e pesa già 300 chili a poche settimane dalla nascita. Finito l’allattamento può prendere il largo, accompagnato dal padre, e raggiungere grandi profondità (fino a 200 metri), nuotando per migliaia di chilometri.

Con caratteristiche molto simili all’elefante marino è il leone marino del sud. Le sue dimensioni sono molto più ridotte rispetto al primo e un maschio adulto raggiunge 2-3 metri di lunghezza e 300 chili di peso, mentre la femmina pesa circa una sessantina di chili e misura da un metro a un metro e mezzo. A Valdés arrivano verso la fine di dicembre e i piccoli nascono in gennaio e febbraio.

Verso l’interno della penisola Valdés, sull’arida pianura ventosa, si vedono correre timidi gruppi di guanacos, che scappano spaventati da ogni incontro con l’uomo. Il guanaco è un camelide molto diffuso nelle pianure patagoniche, e lo si trova spesso raffigurato in scene di caccia in numerose grotte del sud del paese. E’ stato infatti per molti secoli alla base dell’economia delle popolazioni che abitavano la zona, fornendo carne, lana e pellicce per gli indumenti e le capanne. E’ però rimasto selvaggio, al contrario dei suoi consimili che vivono sulle Ande, il lama e l’alpaca.

Anche il ñandù si può incontrare facilmente nella pianura di Valdés, così come nel resto del territorio patagonico. E’ un grosso uccello, imparentato con gli struzzidi africani, che non può volare, ma che usa le ali come timone per gli improvvisi zig-zag con i quali si sottrae ai predatori, come ad esempio il puma. E’ il maschio che costruisce il nido, scavando una buca in terra e proteggendola con rami e foglie. Ancora il maschio si incarica della cova, fino alla schiusa delle uova, alla fine della primavera.   Oltre al bizzarro ñandù, abita la penisola Valdés anche una ricca avifauna. Fra le specie più comuni c’è la gaviota dominicana, un gabbiano che abita permanentemente l’isola, assieme al cormorano negro, di piumaggio nero con riflessi verde-azzurri, la paloma antartica, colomba completamente bianca, e l’ostrero. Altri uccelli che frequentano l’isola sono la garza bruja dal piumaggio grigio, il gaviotìn che annuncia la sua presenza con un grido stridulo, il pato vapor un’anatra così chiamata per il suo modo di andare sulla superficie dell’acqua senza mai alzarsi in volo, e il colorito flamenco che approfitta della bassa marea per alimentarsi.

 

Approfondimento : Patagonia, appena diecimila anni di storia

 

I più antichi manufatti e le opere d’arte rupestre che si possono osservare in moltissime caverne della Patagonia testimoniano la presenza dell’uomo già diecimila anni fà. A una civiltà posteriore appartengono invece le incisioni di labirinti e di figure geometriche sulle pareti delle caverne diffuse nelle zone più settentrionali della Patagonia.

La più importante etnia indigena in Patagonia era quella tehuelche (o patagona). Questo popolo nomade di cacciatori si muoveva soprattutto nelle grandi pianure. Le coste meridionali della Terra del Fuoco argentina erano invece popolate dagli ona, in due distinte tribù, gli haush e gli shelknam.

I primi europei arrivarono sulle cinque navi spagnole del navigatore portoghese Ferdinando Magellano. Verso la fine dell’ottobre 1520 le navi si avventurarono in uno stretto che venne chiamato di Todos los Santos e sbucarono nell’Oceano Pacifico. E’ lo stesso che più tardi fu ribattezzato col nome dello scopritore portoghese. Mezzo secolo più tardi imperversò in queste acque il corsaro Francis Drake e nel 1587 il pirata inglese Thomas Cavendish distrusse da queste parti una flotta di 19 navi spagnole impossessandosi di un cospicuo bottino. Nel XIX secolo arrivarono i coloni gallesi che scrissero un’importante pezzo della storia della Patagonia. I primi centocinquanta sbarcarono nel marzo del 1865 dal veliero Mimosa, e dopo solo pochi fondarono la città di Puerto Madryn. Altri li seguirono, alla ricerca di quella libertà e autonomia che gli erano negate in patria dagli amministratori inglesi. Il flusso di gallesi continuò con poche interruzioni fino agli inizi del Novecento e vennero costruite altre città: Rawson, Trelew, Dovalon. Con la scomparsa degli indiani si moltiplicarono i pascoli destinati all’allevamento degli ovini da lana (circa 25.000.000 di capi).

Nel 1907 venne trovato il petrolio in Patagonia. La città di Comodoro Rivadavia si sviluppò molto rapidamente grazie al greggio e questa volta arrivò in Patagonia un’ondata di boeri del Transvaal sconfitti dagli inglesi in Sud Africa. Nei primi decenni del ‘900, attivisti anarchici italiani, tedeschi e spagnoli, animarono un vasto movimento rivendicativo, represso nel sangue dall’esercito. La storia più recente della Patagonia segue le sorti, nel bene e nel male, dell’intera nazione Argentina.

 

di Alfredo Somoza

Se si apre la pagina di un vocabolario alla voce “turismo” e se ne cerca la definizione, essa apparirà chiara, senza possibilità di equivoco: “Attività consistente nel fare gite, escursioni, viaggi, per svago o a scopo istruttivo”. Fin qui l’aspetto esteriore del fenomeno: rassicurante e limpido.

Ma quando si va a “leggere” il turismo sotto il profilo sociale, economico, culturale e politico, il discorso si fa assai meno esplicito. Anzi, diventa fortemente contraddittorio, in bilico tra valenze positive e negative.

Fin dai suoi albori, infatti, il turismo ha creato lacerazioni, modificato o stravolto equilibri millenari, cancellato o relegato in angoli bui tradizioni e usanze. Gli statunitensi sono stati i primi a potersi permettere il viaggio all’estero. Negli anni ’60 è arrivato il turno degli europei, poi ancora di canadesi, giapponesi, australiani e infine, dagli anni ’80 in poi, delle minoranze abbienti dell’India, del Brasile, della Cina.

Gli acceleratori fondamentali che hanno trasformato il viaggio in un elemento macroeconomico sono stati tre: la disponibilità di tempo libero e di un reddito medio-alto in Occidente; l’apertura di decine di Stati agli investimenti turistici; e l’evoluzione dei mezzi di trasporto che gradualmente hanno ridotto le distanze, fino a ridicolizzarle. La miscela di questi tre elementi ha fatto sì che il turismo divenisse fenomeno di massa, con tutte le conseguenze del caso.

Attualmente ben 800 milioni di persone all’anno escono dai confini dei propri Paesi per ragioni turistiche. Il settore è ormai la principale voce negli scambi commerciali mondiali: produce 3800 miliardi di dollari USA all’anno di fatturato (il 7% del prodotto lordo del pianeta) e offre impiego a 220 milioni di persone (ciò significa che, nel mondo, ogni 15 occupati uno lavora in questo ambito). Ma anche nel turismo le differenze tra il Nord e il Sud del pianeta sono abissali: l’80% degli spostamenti internazionali è appannaggio dei residenti di soli 20 Paesi.

Per valutare complessivamente questo settore, soprattutto per quanto riguarda il suo ruolo nello sviluppo del Sud del mondo, basta conoscere alcune percentuali riguardanti la distribuzione del prezzo dei pacchetti turistici tra l’operatore e il Paese di destinazione: in Kenya rimane solo il 30% di quanto pagato all’acquisto del viaggio, in Nepal il 47%, in Thailandia il 59%, in Sudamerica una media del 50%.

Per offrire un’alternativa a questo modello è nato negli anni ’80 il concetto di “turismo responsabile”, un turismo sostenibile che non comprometta il patrimonio ambientale, culturale e sociale del territorio che ne è meta. Un modo di viaggiare che sia giusto ed equo per la comunità ospitante, economicamente ed ambientalmente sostenibile nel lungo periodo.

L’affermazione del turismo sostenibile rappresenta quindi una grande potenzialità per molti Paesi del Sud del mondo: sia in ambito strettamente economico, attraverso la crescita dell’occupazione locale e l’introito di valute forti; sia in campo sociale, grazie alla valorizzazione delle risorse ambientali, umane e culturali. Un “plus” che lo sviluppo di altri settori produttivi non consentirebbe.

Le cooperative sociali, le associazioni ambientaliste, le reti d’accoglienza create dalle donne e tra donne, perfino i piccoli pescatori locali stanno diventando i nuovi soggetti di un turismo che crea vera occupazione, valorizza il territorio e redistribuisce nella comunità il reddito prodotto. È una nuova dimensione della qualità del viaggio che si basa sulla condivisione, sul rispetto dell’ambiente e delle culture locali. E che concorre alla crescita individuale e collettiva della persona a partire da un rapporto autentico con l’altro.

 

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)

Associazione Italiana Turismo Responsabile (AITR)

Nel 1987 venne scoperta, sotto una piramide, la tomba del Signore di Sipán, un nobile del popolo Mochica che era stato seppellito insieme a ricchissimi paramenti regali di oro e pietre preziose 1.700 anni fa. Viene considerato dagli studiosi il tesoro più favoloso del Perú pre-incaico. La civiltà mochica, oriunda del nord del Perú, è ancora poco conosciuta e grazie all’archeologia si è cominciato recentemente a interpretarla.

di Alfredo Somoza

I mochicas (o moches) vissero sulla costa settentrionale del Perú tra i secoli II e VIII d. C. Furono una delle grandi culture pre-incaiche sviluppatesi dopo la rivoluzione neolitica che in America portò alla nascita di grandi civiltà urbane sulle Ande e in Messico grazie alla diffusione del mais. Si stima che il Signore di Sipán, finora il più importante ritrovamento archeologico della zona, morì attorno al 300 d. C. e venne sepolto insieme alle sue due moglie, sacrificate per accompagnarlo nell’aldilà, e a diversi guardiani con i piedi amputati perchè non “abbandonassero” il loro sovrano. Attorno al suo corpo furono ritrovate centinaia di pezzi di ceramica e metalli preziosi che oggi sono esibiti nel Museo del sito, insieme alle mummie di Sipán e ai corpi di altri due uomini potenti: un sacerdote e il Vecchio Signore di Sipán.

Il Museo Tumbas Reales de Sipán (inaugurato nel 2002) di Lambeyeque, che raccoglie i materiali ritrovati dall’archeologo peruviano Walter Alva,  è stato costruito a forma di piramide tronca nel più puro stile degli antichi santuari mochica. Il museo racconta la storia di questo popolo del deserto attraverso la descrizione della scoperta del sito del Signore. Gli oggetti in oro sono appesi in aria, su sfondo nero e in penombra, ricreando in questo modo “l’effetto tomba” e il fascino che hanno provato gli archeologi li riportarono alla luce.  Al primo piano sono esibiti i pezzi forti della raccolta: la splendida corona d’oro a forma semilunare, i sandali d’argento del Signore e i pettorali di madreperla. Sempre al primo piano del Museo, la fantastica collana dell’antico Signore di Sipán formata da 10 ragni d’oro e le immagini dell’uomo.granchio e del pesce-gatto. Al Museo Tumbas Reales troviamo infine quanto scoperto nella Piramide dei Huaca Rajada, la tomba di un sacerdote rappresentato nell’iconografia mochica come un “uomo-uccello”, che occupava il secondo livello nella gerarchia politica di questo popolo. Il mondo mochica era infatti retto da un monarca di origine divina, dal sacerdote principale e dai capi guerrieri.

La città dalla quale si parte per la visita al Museo di Sipan è Chiclayo, a 770 chilometri da Lima. La zona dove è stato ritrovato il Signore si può visitare in 3-4 giorni. Meritano una sosta l’interessante Museo Arqueológico Bruning e la sua Sala dell’oro, i villaggi di Saña e Ferreñafe, il complesso di Huaca Rajada (dove è stato trovato il sacerdote e il Signore)  e le piramidi di Túcume. In quest’ultimo sito archeologico è stata trovata la più grande costruzione in adobe (paglia e fango) del continente americano: la Huaca Larga, una specie di palazzo della cultura Lambeyeque misura 700 metri di lunghezza, 280 di larghezza ed è  alta 30 metri. I Tùcume si svilupparono in questa zona del Perú a partire del 700 d.C e venne conquistata dai Chimù nel 1375, dagli Incas nel 1470 e infine dagli spagnoli nel XVI secolo.  Nelle loro piramidi di adobe vivevano i Signori di Tùcume, governanti considerati semidei. Dall’alto della Huaca Larga si può ammirare il complesso disegno urbano di piazze, templi e case che costituivano questo centro del passato americano.

 

 

La scoperta

 

 

FOCUS: Trujillo, la città dell’eterna primavera

Trujillo, la città più importante del Perú settentrionale, è a sua volta porta d’ingresso per conoscere i resti più meravigliosi della civiltà Mochica. I ritmi e i rumori di Trujillo ricordano ancora, soprattutto nel centro storico, quelli della colonia spagnola. Il tratto più caratteristico dell’architettura coloniale di Trujillo sono i balconi, a forma di cassettone e decorati ognuno in modo diverso. Le finestre hanno le caratteristiche gelosie di legno che permettono alle donne di guardare senza essere guardate e quindi evitare, appunto, la “gelosia” dei mariti.

Da Trujillo si raggiungono le piramidi del Sole e della Luna, il più imponente santuario religioso pre-incaico della zona. Più importante ancora la città archeologica di Chan Chan, antica capitale dei Chimù, la civiltà intermedia tra i mochica e gli Incas. Chan Chan, patrimonio dell’UNESCO,  è la città costruita con il fango più grande che sia mai esistita. La città è ancora incredibilmente conservata (qui piove raramente) e sono ben visibili le decorazioni che permettono di immaginare la complessa organizzazione di una città che, secondo gli archeologi, è arrivata a contare 100.000 abitanti.

Informazioni utili

QUANDO: La stagione più adatta alla visita del Perú settentrionale è tra dicembre e marzo.

COME ARRIVARE: Il Perú si raggiunge con diverse compagnie, voli più frequenti con Iberia.

DOCUMENTI. Passaporto in corso di validità

ALLOGGIO: Il Perú è a buon mercato per il turista italiano. Se si sceglie con cura piccoli alberghi e locali poco ortodossi per mangiare (ad. es. le marisquerias, specializzate in frutti di mare), si riesce a sopravvivere con 20-30 euro al giorno.

SOLDI: la moneta del Perú è il Nuevo Sol (1 euro=4,3 soles).

WEB: http://www.peru.info/ il portale del turismo peruviano, www.museodesitiotucume.com il sito del Museo di Tùcume, http://sipan.perucultural.org.pe/ il portale del Signore di Sipan.

LEGGERE: I regni preincaici e il mondo inca. Laura Laurencich Minelli. Jaca Book, Milano 1992