Gli Achuar sono un’etnia che vive nel folto della grande foresta a cavallo tra Perù ed Ecuador, e per questo vittime designate ogni volta che si è riacceso il conflitto sui confini tra i due paesi andini, che ha già prodotto lungo il ‘900 due guerre, l’ultima nel 1995. I confini imposti dall’uomo bianco nel diciannovesimo secolo hanno diviso un popolo a metà e assegnato a ciascuna delle due parti una “nazionalità” diversa e contrapposta.
Le comunità Achuar ecuadoregne che vivono nella regione amazzonica dove si incontrano i fiumi Pastaza e Capahuari, vicino al confine con il Perù, stanno consolidando il controllo del loro territorio grazie al turismo, dimostrando in modo concreto che gli indigeni sono in grado di gestire l’immenso patrimonio naturale che in diversi paesi del Sud America come l’Ecuador, il Brasile e il Cile è stato loro riconosciuto dallo Stato. Il Kapawi Eco Lodge non è semplicemente uno dei tanti eco-aberghi nella foresta, è un progetto politico e uno strumento che genera risorse economiche per sostenere un processo di autodeterminazione. Tutta la filiera è di proprietà indigena, dall’agenzia a Quito, dove si vendono i pacchetti, all’aereo che porta i turisti nel cuore dell’Amazzonia, fino ovviamente all’albergo della foresta e alle guide locali.
Gli Achuar del Rio Pastaza dicono che quanta più gente verrà a conoscere l’Amazzonia in modo sostenibile, tanto più crescerà la coscienza ambientale e la conoscenza dei diritti delle etnie che vi vivono. Dicono anche di credere che la creazione di un santuario binazionale della natura possa porre fine alle ridicole dispute degli stati per confini tracciati sulla carta e unificare di nuovo un popolo diviso artificiosamente dalla storia. Il turismo, che spesso ha pesanti impatti culturali, economici ed ambientali e che alimenta in America Latina ogni sorta di squali locali e multinazionali, qui è invece parte di una strategia di resistenza e di sviluppo. Ogni tre mesi i gestori del sistema turistico si riuniscono con i consigli tribali della zona per decidere insieme quali opere finanziare con i profitti derivati dall’afflusso dei turisti. Parte dei ricavi serve per pagare gli studi dei ragazzi Achuar, che diventeranno guide, cuochi, manager turistici, ma anche medici, avvocati, ingegneri. Gli Achuar stanno dimostrando, nel cuore dell’Amazzonia, la validità dello slogan di Porto Alegre sull’”altra economia possibile” e ci ricordano quanto oggi le lotte di resistenza possono assumere forme inconsuete, sfruttando il mercato e mantenendo sempre saldi i valori dell’unità, dell’obiettivo condiviso, della partecipazione.
Alfredo Somoza