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Jorge Mario Bergoglio, papa Francesco, si è velocemente guadagnato un ruolo da leader globale in uno scenario di vuoto e di caos che spinge la gente a cercare nuovi riferimenti. Riferimenti che, però, si fa fatica a individuare.

Il papa ha un profilo al tempo stesso fortemente definito sul piano pastorale e molto “politico” rispetto alle umane vicende. Innanzitutto incarna un prototipo di uomo pubblico raro ma molto rispettato. L’austerità francescana di Bergoglio è molto simile, anche se su basi culturali completamente diverse, alle regole di vita e di comportamento seguite dall’ex presidente uruguayano José “Pepe” Mujica, un contadino ed ex guerrigliero diventato popolare a livello internazionale.

Bergoglio parla molto chiaro, con un linguaggio che ha tarato sulle difficoltà di un Paese, l’Argentina, fallito nel 2001 quando lui era arcivescovo di Buenos Aires. Difficoltà oggi purtroppo comuni a tanti altri Stati. Nel suo linguaggio, l’analisi spietata dell’esistente è sempre accompagnata dalla fiducia nell’uomo e in valori, come lo spirito di servizio, che possano dare una speranza. La sua radicale affermazione nell’omelia in plaza de la Revolución a L’Avana, «chi non vive per servire non serve per vivere», ha sicuramente riecheggiato le frasi di un altro argentino, presente in effigie alla Messa: quel Che Guevara che diceva «siate capaci di sentire nel più profondo di voi stessi le ingiustizie commesse contro chiunque in qualsiasi parte del mondo». Due visioni totalizzanti e simili, entrambe riferite all’uomo come essere compiuto solo se al servizio degli altri.

A papa Francesco è stato riconosciuto anche il ruolo di mediatore imprescindibile tra contendenti storicamente contrapposti. Il metodo del dialogo da lui esaltato in chiara polemica con il “metodo della guerra”, la diplomazia discreta e di alto livello, la ricerca di ciò che unisce… il metodo gesuitico, insomma, oggi stupisce perché si è rivelato decisivo per chiudere l’ultimo simbolo della Guerra Fredda, lo scontro tra USA e Cuba.

Ma non è solo la politica latinoamericana a interessare al papa. I temi dei migranti e dell’ambiente che ha scelto per la sua tappa statunitense sono argomenti avversati dai repubblicani impegnati nelle primarie, che ritengono che il cambiamento climatico non esista e che i migranti vadano ricacciati indietro innalzando un muro ancora più alto al confine con il Messico.

Con Francesco il Vaticano torna in trincea, dopo che per anni aveva abbandonato il Continente in cui vive la maggioranza dei cattolici consegnandolo di fatto alle chiese evangeliche e pentecostali. Questo ritorno, insieme ai prossimi viaggi programmati in Africa, sta spostando l’asse della Chiesa eurocentrica, finora fortemente influenzata dalle gerarchie vaticane e dai mondi economici e politici contigui. La fine dello IOR come banca offshore, il licenziamento di fatto della Sacra Rota e degli avvocati vaticani, la lontananza dai partiti che si richiamano alla Chiesa, l’idea di far pagare le tasse alle sedi ecclesiastiche che fanno business, il depotenziamento del Vaticano compiuto dallo stesso “Vescovo di Roma” costituiscono proprio la benzina che sta alimentando il rilancio della Chiesa.

La chiesa di Francesco è globale, non “romana”, e lo dimostra anche nei fatti. Per esempio ospitando in Vaticano solo due famiglie di profughi siriani, ma imponendo a tutta la Chiesa di fare altrettanto. Non centro e periferia ma comunità diffusa, rete, ecclesia, comunità di credenti.

La geopolitica del Vaticano per secoli è stata tratteggiata dai Gesuiti. Oggi, per la prima volta, uno di loro sta occupandosi insieme di religione e di politica in veste di pontefice. Una novità che lascerà sicuramente profondi segni sulla Chiesa del futuro.

 

Alfredo Somoza per Esteri, Radio Popolare

 

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Ridurre il valore anche simbolico dell’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, alla polemica sulle sue presunte colpe durante la dittatura militare argentina degli anni ’70 rivela una visione molto ridotta delle sfide che questo pontificato dovrà affrontare.

Bergoglio, come tutti i papabili provenienti da Paesi che hanno subito dittature, non ha un profilo limpidissimo in relazione ai comportamenti tenuti in quegli anni bui. La Chiesa argentina, sotto la dittatura, si divideva tra una piccola minoranza di resistenti, per la maggior parte uccisi dai militari, un importante settore delle gerarchie che si macchiò di complicità diretta, e un’area definita “grigia”, costituita da sacerdoti e ordini religiosi che, senza condannare pubblicamente i generali, nemmeno li considerarono mai come la salvezza del Paese, e spesso riuscirono a salvare la vita a molte persone.

Bergoglio e la Compagnia di Gesù si collocavano sicuramente in quest’ultima situazione. L’unico episodio che riguarda da vicino il nuovo pontefice, cioè il sequestro e la detenzione clandestina di due giovani gesuiti rilasciati 5 mesi dopo, è stato ricostruito dal giornalista Horacio Verbitsky nel suo libro L’isola del silenzio. Verbitsky azzarda una domanda inquietante. Si chiede cioè se quei due gesuiti, che davano fastidio per il loro lavoro insieme ai poveri, e che erano stati prima avvertiti e poi cacciati da Bergoglio, siano stati denunciati ai militari proprio dal loro superiore. Questa tesi, mai dimostrata per ammissione dello stesso Verbistsky, appare piuttosto improbabile: i sacerdoti di quel tipo erano già ben noti ai militari senza bisogno di denunce. Piuttosto, il fatto che i due siano stati liberati dopo 5 mesi lascia intuire che con ogni probabilità i vertici della Compagnia di Gesù si mossero per ottenerne il rilascio.

La figura di Francesco I è però carica di altri significati per una Chiesa in profonda crisi. Da un lato il papa è un convinto sostenitore dei principi tradizionali della dottrina sui temi riguardanti i matrimoni gay, il ruolo delle donne nella Chiesa, l’aborto. Dall’altra è un severo critico del modello neoliberale e delle sue conseguenze. Infine, è da sempre un uomo che fa dell’austerità e del rifiuto dei privilegi uno stile di vita. Si può prevedere che sarà un vescovo di Roma intransigente, e che proverà a ripulire la Curia dai corvi e dai legami pericolosi con la finanza deviata.

Ma anche, e questa è la dimensione globale della scelta, Francesco I è il primo pontefice non europeo, il papa che inaugura davvero l’era della Chiesa mondiale. In particolare, è il primo papa dell’America Latina, il continente dove vive circa il 40% dei fedeli cattolici. Una Chiesa giovane e forte, quella sudamericana, ma messa sotto scacco da parte delle religioni cristiane riformate che raccolgono quotidianamente nuovi fedeli.

Si può dire che l’elezione di Francesco I costituisce un riconoscimento ufficiale dei mutati equilibri mondiali, nell’era dei BRICS e del G20. Un Papa che parlerà molto di Europa e di economia, come fece sempre durante gli anni più duri del “dopo default” argentino, ma che saprà parlare anche alle nuove chiese con un linguaggio più comprensibile. Non va dimenticato infine che Bergoglio è un gesuita, e quindi il dialogo con l’Oriente e con l’Islam sarà un altro caposaldo del suo pontificato. I Gesuiti, da sempre considerati l’eminenza grigia della Chiesa ma finora sempre tenuti fuori da San Pietro, per la prima volta conquistano la massima istituzione cattolica: con Bergoglio, dovranno dimostrare se la loro formula, stare con gli ultimi senza disdegnare il potere, funziona ancora.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)

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