Ridurre il valore anche simbolico dell’elezione del cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, alla polemica sulle sue presunte colpe durante la dittatura militare argentina degli anni ’70 rivela una visione molto ridotta delle sfide che questo pontificato dovrà affrontare.

Bergoglio, come tutti i papabili provenienti da Paesi che hanno subito dittature, non ha un profilo limpidissimo in relazione ai comportamenti tenuti in quegli anni bui. La Chiesa argentina, sotto la dittatura, si divideva tra una piccola minoranza di resistenti, per la maggior parte uccisi dai militari, un importante settore delle gerarchie che si macchiò di complicità diretta, e un’area definita “grigia”, costituita da sacerdoti e ordini religiosi che, senza condannare pubblicamente i generali, nemmeno li considerarono mai come la salvezza del Paese, e spesso riuscirono a salvare la vita a molte persone.

Bergoglio e la Compagnia di Gesù si collocavano sicuramente in quest’ultima situazione. L’unico episodio che riguarda da vicino il nuovo pontefice, cioè il sequestro e la detenzione clandestina di due giovani gesuiti rilasciati 5 mesi dopo, è stato ricostruito dal giornalista Horacio Verbitsky nel suo libro L’isola del silenzio. Verbitsky azzarda una domanda inquietante. Si chiede cioè se quei due gesuiti, che davano fastidio per il loro lavoro insieme ai poveri, e che erano stati prima avvertiti e poi cacciati da Bergoglio, siano stati denunciati ai militari proprio dal loro superiore. Questa tesi, mai dimostrata per ammissione dello stesso Verbistsky, appare piuttosto improbabile: i sacerdoti di quel tipo erano già ben noti ai militari senza bisogno di denunce. Piuttosto, il fatto che i due siano stati liberati dopo 5 mesi lascia intuire che con ogni probabilità i vertici della Compagnia di Gesù si mossero per ottenerne il rilascio.

La figura di Francesco I è però carica di altri significati per una Chiesa in profonda crisi. Da un lato il papa è un convinto sostenitore dei principi tradizionali della dottrina sui temi riguardanti i matrimoni gay, il ruolo delle donne nella Chiesa, l’aborto. Dall’altra è un severo critico del modello neoliberale e delle sue conseguenze. Infine, è da sempre un uomo che fa dell’austerità e del rifiuto dei privilegi uno stile di vita. Si può prevedere che sarà un vescovo di Roma intransigente, e che proverà a ripulire la Curia dai corvi e dai legami pericolosi con la finanza deviata.

Ma anche, e questa è la dimensione globale della scelta, Francesco I è il primo pontefice non europeo, il papa che inaugura davvero l’era della Chiesa mondiale. In particolare, è il primo papa dell’America Latina, il continente dove vive circa il 40% dei fedeli cattolici. Una Chiesa giovane e forte, quella sudamericana, ma messa sotto scacco da parte delle religioni cristiane riformate che raccolgono quotidianamente nuovi fedeli.

Si può dire che l’elezione di Francesco I costituisce un riconoscimento ufficiale dei mutati equilibri mondiali, nell’era dei BRICS e del G20. Un Papa che parlerà molto di Europa e di economia, come fece sempre durante gli anni più duri del “dopo default” argentino, ma che saprà parlare anche alle nuove chiese con un linguaggio più comprensibile. Non va dimenticato infine che Bergoglio è un gesuita, e quindi il dialogo con l’Oriente e con l’Islam sarà un altro caposaldo del suo pontificato. I Gesuiti, da sempre considerati l’eminenza grigia della Chiesa ma finora sempre tenuti fuori da San Pietro, per la prima volta conquistano la massima istituzione cattolica: con Bergoglio, dovranno dimostrare se la loro formula, stare con gli ultimi senza disdegnare il potere, funziona ancora.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)

bergoglio

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