Buenos Aires, non solo tango

Pubblicato: 11 marzo 2012 in Turismo, turismi
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A me sembra un sogno che Buenos Aires sia nata.

La ritengo tanto eterna quanto l’acqua e l’aria.

J.L. Borges

Buenos Aires, porto dell’estrema Europa,

capitale di un impero mai esistito.

A. Malraux

La città di Santa María de los Buenos Aires non solo è la porta d’ingresso del paese, tappa inevitabile per chi voglia visitarlo. È anche una città-stato, uno spazio metropolitano sconfinato che nell’immaginario dei suoi abitanti, i porteños, rappresenta da solo uno dei due paesi in cui si divide l’Argentina: la capital, contrapposta a el interior, tutto il resto del paese.

Fondata due volte dagli spagnoli che girovagavano alla ricerca dell’Eldorado, Buenos Aires divenne ricca e potente grazie ai capricci della natura e dell’economia mondiale: bovini, ovini e cavalli, che nelle Pampas trovarono un habitat miracolosamente favorevole dove moltiplicarsi, grazie alle innovazioni tecnologiche della seconda metà dell’Ottocento, si trasformarono in una fiorente esportazione di carne fresca, basilare per l’alimentazione dell’Europa occidentale fino agli anni Sessanta. La piccola e marginale Buenos Aires divenne così, alla fine dell’Ottocento, uno dei più importanti porti mondiali per l’esportazione di cuoio, cereali, frutta, vino e carne.

Il processo di concentrazione delle attività produttive, culturali e politiche attorno alla capitale fu inarrestabile: Buenos Aires divenne metropoli alla fine del XIX sec., e una grande area metropolitana negli anni Sessanta (Grande Buenos Aires). Nei suoi 1200 kmq di estensione hanno sede il 75% delle attività industriali del paese e l’80% di quelle terziarie.

Non stupisce quindi che qui sia concentrato anche un terzo della popolazione del paese (11.000.000 ab.). Già nel 1943 il medico-scrittore Florencio Escardó trovò una spiegazione intelligente a tale gigantismo: “le province hanno creduto che Buenos Aires, in quanto sede delle autorità nazionali, fosse il punto supremo delle aspirazioni di tutti. Buenos Aires ha invece avuto un criterio fortemente accentratore. Si è ingrandita, è diventata bella, si è fortificata, con una logica propria che non era quella di capitale di una federazione. La città vive per se stessa, la repubblica viene percepita come un sipario sullo sfondo” (Geografía de Buenos Aires).

Nel triangolo delimitato dalla Casa Rosada, dal Parlamento e dalla City si definiscono le strategie economiche nazionali, si concretizzano alleanze e divisioni politiche, si preparano i golpe, si lanciano le mode e si diffondono i modelli culturali. Qui hanno sede tutte le televisioni, le radio e le testate giornalistiche nazionali. Buenos Aires è lo specchio di quanto di meglio e di peggio abbiano realizzato gli argentini negli ultimi 450 anni, il palcoscenico dove si sono consumati i drammi e i momenti gioiosi di un popolo eterogeneo che contribuì a costruire una metropoli laica dotata di chiese, moschee, sinagoghe e templi massonici.

Buenos Aires non è né bella né brutta: è un caso abbastanza raro di grande metropoli in cui non esiste un comune denominatore, e quindi ognuno può cercare (e non di rado incontrare), o inventarsi, ciò che più ama.

 

Milioni di uomini, di donne, di bambini, di operai, di impiegati. Come parlare di tutti? Come rappresentare quella realtà innumerabile in cento pagine, in mille, in un milione di pagine? Sei milioni di argentini, spagnoli, italiani, baschi, tedeschi, ungheresi, russi, polacchi, iugoslavi, siriani, libanesi, lituani, greci, ucraini. Oh, Babilonia! La città galiziana più grande al mondo. La città italiana più grande al mondo. Più pizzerie che a Napoli e Roma insieme. Oh, Babilonia! (Ernesto Sábato, Sopra eroi e tombe)

Alfredo Somoza

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