L’unione fa ancora la forza

Pubblicato: 15 dicembre 2011 in America Latina
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L’incrinatura che si è prodotta all’interno dell’Unione Europea tra Gran Bretagna da un lato e Francia e Germania dall’altro è l’indicatore di un più vasto sentimento anti-europeistico, cavalcato dai conservatori, che tradotto in volgare si potrebbe leggere come il più classico “si salvi chi può”.

Dal Belgio ormai di fatto diviso tra fiamminghi e valloni, ai nazionalismi spagnoli in forte crescita, fino ai deliri padani, in Europa avanza un sentimento isolazionista che in passato è stato foriero di terribili sciagure belliche. Nel resto del mondo, però, c’è chi crede ancora che l’unione faccia la forza. Dopo il vertice APEC alle Hawaii, nel quale si sono fatti importanti passi avanti sulla via della creazione di un’area di libero scambio tra i Paesi affacciati sull’Oceano Pacifico, la settimana scorsa a Caracas è nato il CELAC, la Comunità di Stati dell’America Latina e dei Caraibi.

Il CELAC è figlio della volontà di 24 Paesi della regione che, per la prima volta, hanno creato un organismo panamericano che esclude Stati Uniti e Canada. Il disegno politico è chiaro, mandare in soffitta l’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), il club creato dagli Stati Uniti nel 1890 con sede a Washington. Storicamente l’OSA ha legittimato interventi armati e colpi di Stato, facendo sempre e solo gli interessi di Washington, come quando, nel 1962,  espulse Cuba. Non a caso è stato ribattezzato “dipartimento per le colonie” degli Stati Uniti.

Il nuovo Forum dovrebbe invece diventare il garante delle regole democratiche, intervenendo a sostegno dei governi legittimamente eletti qualora siano in pericolo. Ma il CELAC si pone anche l’obiettivo di diventare un forum regionale nel quale discutere su problemi comuni in materia economica: questo ha subito interessato la Cina, che si è congratulata per la nascita del nuovo soggetto politico.

Il CELAC arriva dopo oltre 10 anni di latitanza politica degli Stati Uniti, che hanno spostato tutte le loro priorità internazionali in Medio Oriente. E arriva dopo un periodo di crescita economica dell’America Latina che, per la prima volta, è stato accompagnato da una ridistribuzione del reddito. I dati rilevati dall’autorevole rapporto 2011 del CEPAL (la Commissione Economica per l’America Latina e i Caraibi) certificano che i poveri, nonostante la crisi mondiale, hanno raggiunto la soglia più bassa degli ultimi 20 anni, e che nel 2012 il loro numero continuerà a ridursi. Nell’ultimo decennio sono scesi dal 31 al 17% della popolazione totale, mentre la fascia di estrema povertà è precipitata dal 22 al 12%.

Si tratta di risultati dovuti in buona misura al positivo ciclo economico delle materie prime e al risveglio del gigante brasiliano. Ma bisogna aggiungere che tutto ciò non si sarebbe mai verificato senza i governi progressisti che, nell’ultimo periodo, hanno governato praticamente tutta la regione.

La ricetta della nuova America Latina in questi anni è stata semplice: sostegno convinto alla crescita economica, contenimento della spesa statale parassitaria, investimento sull’educazione, apertura al mondo, alleanze con le altre zone del Sud del pianeta, ripristino o invenzione del welfare, ridistribuzione della ricchezza attraverso la fiscalità. Tutte misure dettate con urgenza dall’implosione del modello neoliberista alla fine degli anni ’90 e dal suo seguito di iniquità sociale, di precarietà, di economia a favore dei poteri forti, di privatizzazioni contro i cittadini.

Oggi l’America Latina, che pure continua ad avere grandi problemi, può fare un primo e sostanzialmente positivo bilancio di un decennio di politiche che hanno saputo tenere in buona salute i dati macroeconomici, introducendo però una dimensione sociale sconosciuta agli economisti di Chicago. L’esatto contrario di quanto si vuole fare in Europa. Peccato, non sempre la storia insegna.

 

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)

 

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