Sorpresa, stupore, inadeguatezza. Queste le reazioni dei politici e delle opinioni pubbliche dei Paesi del Sud del mondo davanti alle rivolte di piazza nel Nord Africa. Non bastano gli esperti per far capire ciò che sta succedendo, dopo che per almeno 20 anni si è martellato su quello che doveva essere l’unico e grande rischio per gli Stati di quell’area geografica, cioè il fondamentalismo religioso islamico. Nessuno era preparato a un’esplosione di voglia di democrazia e di rifiuto della politica corrotta dei regimi, con slogan che ricordano altre piazze e altri continenti, dall’America Latina alla Thailandia. La sorpresa non riesce a nascondere però la paura che nei prossimi mesi si possa verificare la tanto temuta “tempesta perfetta”, con la coincidenza dell’aumento del prezzo petrolio e degli alimenti. Quanto accade in Nord Africa si potrebbe ripetere in tanti altri Paesi dove regimi liberticidi, corruzione ed emergenze economiche e sociali non sono da meno.
Una constatazione evidente di queste ore è che, forse per la prima volta, non c’è una regia della crisi. È difficile immaginare che una o più potenze stiano manipolando la situazione e men che meno che qualcuna di esse riesca a esercitare un potere tale da essere in grado di riportare l’ordine. Il mondo multipolare ha messo a nudo le proprie difficoltà nel realizzare una governance globale. È chiara anche l’ennesima sconfitta dell’Europa, che non ha saputo (o voluto) prevedere il terremoto alle sue frontiere e che pateticamente si pone in queste ore soltanto problemi legati ai flussi migratori. Un’Europa di egoismi e di piccolo cabotaggio che non ha mai voluto interessarsi né di democrazia né di sviluppo sulla sponda Sud del Mediterraneo.
Dietro l’Europa fallimentare e gli Stati Uniti sempre più lontani, però, non c’è nulla.
Le potenze emergenti seguono la crisi nordafricana con un misto di finta preoccupazione e di soddisfazione per quello che forse è già accaduto: la resa delle potenze storiche nella gestione dello scacchiere internazionale e il bisogno sempre più urgente di raggiungere una nuova distribuzione dei pesi politici per tentare di ripristinare un equilibrio globale.
Anche i popoli del Sud stanno imparando una lezione e i nuovi mezzi di comunicazione, mettendo a nudo le nefandezze dei dittatori in disgrazia, ne hanno impedito, per ora, la fuga, perché l’opinione pubblica mondiale non lo permetterebbe. Questa alleanza virtuale, ovviamente tutta da dimostrare, tra le società civili di tutto il mondo apre nuovi scenari per le lotte democratiche. È anche ora di ripensare i luoghi comuni sui nuovi strumenti di comunicazione di massa, considerati da molti metafora del consumismo o inutile spreco. Nei Paesi dove non esiste la libertà di stampa né quella di manifestare, cellulari, pc e Internet diventano le moderne – e pacifiche – armi delle rivoluzioni democratiche del XXI secolo.