Posts contrassegnato dai tag ‘USA’

Il 2013 sarà il quinto anno segnato dalla crisi economica esplosa prima negli Stati Uniti e successivamente anche in Europa. Leggendo i pronostici dei più autorevoli studiosi di politica internazionale, si ha l’idea che ormai sia diventata cronica l’impotenza di chi dovrebbe prendere decisioni, giuste o sbagliate, per provare a riattivare un ciclo economico positivo.

Ogni mattina si attende il responso dei mercati incrociando le dita, con lo stesso atteggiamento con il quale gli antichi greci si rivolgevano all’oracolo di Delfi. La passività non si limita all’aspetto economico e finanziario: la politica boccheggia anche su altri fronti. Il massacro in Siria, la deriva nordafricana, l’infinito conflitto afgano e quello israelo-palestinese, i covi dei pirati offshore, le mafie che insanguinano interi Paesi sono tutti problemi da risolvere. Però si rimandano decisioni e azioni a un tempo sempre di là da venire.

Il mondo del 2013 paga le conseguenze di due giganteschi vuoti, l’uno conseguenza dell’altro. Il primo è la mancanza di leadership globale. Gli Stati Uniti rimangono una potenza globale ormai solo in virtù della loro forza militare, ma al loro interno sono dissanguati dal conflitto tra democratici e repubblicani sulla riforma del fisco e più in generale sul modello di società. L’Europa è invece zavorrata dalla crisi dei Paesi più deboli, non risolta in tempo, e dalle politiche imposte da quelli più forti, che dalle difficoltà degli altri Stati cercano di trarre guadagno. La Cina, l’India e il Brasile sono ancora potenze regionali, prive di peso reale negli equilibri “che contano”. Il resto del mondo è semplicemente ininfluente.

Il secondo vuoto, legato al primo, è quello delle idee. Il mondo ha bisogno di una rivoluzione culturale, politica ed economica che parta dal basso. La riflessione sul modello di sviluppo va tradotta in politiche possibili: occorre immaginare meccanismi istituzionali internazionali che stimolino azioni collettive così che si possano produrre beni pubblici globali. E occorre distinguere una volta per tutte ciò che è giusto sia affidato al mercato e ciò che invece deve rimanere di pertinenza della sfera pubblica, perché sia garantita l’universalità dell’accesso ai beni fondamentali.

La qualità dell’ambiente, la redistribuzione di redditi e ricchezze, la promozione di politiche fiscali giuste e sostenibili, il controllo dei mercati, la diffusione delle nuove tecnologie della comunicazione, la riconversione delle fonti energetiche, la lotta senza tregua alle mafie e alla corruzione: tutti questi temi dovrebbero far parte della nuova agenda del mondo.

Davanti alla crisi degli Stati, una simile rivoluzione può nascere soltanto dalla forza di cittadini organizzati e partecipi. Per questo, in testa all’agenda del 2013, va collocata la tutela del primo bene comune: la democrazia, quella vecchia modalità di convivenza civile senza la quale l’orizzonte diventa buio. È proprio lei, la democrazia, che rischia di pagare il prezzo più salato della crisi economica e di credibilità di una politica miope.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare network)

 

img_606X341_The-numbers-2013-are-illuminated-atop-1-Times-Square-revelers-celebrate-New-Year-New-York-RTR3C0PY (1)

L’attuale crisi finanziaria ci tiene compagnia, si fa per dire, da ormai quattro lunghi anni. Nel 2008 si pensava che sarebbe stata relativamente passeggera, e focalizzata in gran parte sui problemi dell’economia statunitense. La realtà ha purtroppo smentito quest’analisi. Erano stati sottovalutati due aspetti fondamentali del momento economico. Il primo era la profondità della crisi, che andava a intaccare la struttura portante del capitalismo finanziario in quanto “sistema”; un indizio che lasciava intuire come, dopo gli USA, l’uragano avrebbe colpito in pieno l’Europa. Il secondo era il fatto che la crisi si stava ponendo come spartiacque tra due periodi della geopolitica e dell’economia mondiale. Non a caso, in questi anni, i cinque Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) hanno praticamente raggiunto il 20% del PIL mondiale, accumulando nelle loro casse un terzo delle riserve valutarie globali. L’economia cinese e quella brasiliana sono diventate rispettivamente la terza e la sesta del pianeta.

Un altro dato che rende l’idea dei mutamenti in corso è il fatto che oggi i 26 Stati più industrializzati realizzano il 48% del PIL mondiale: per la prima volta in due secoli, meno della metà del totale. E mentre l’Europa taglia diritti e welfare in modo ragionato (Francia, Germania) o in modo selvaggio (Grecia, Portogallo), nei Paesi emergenti i diritti aumentano e migliorano anche le condizioni di vita. In Brasile, in pochi anni sono usciti dalla povertà 40 milioni di cittadini; la Cina ormai delocalizza alcune produzioni in Vietnam per via dell’aumento del costo della manodopera locale.

La crisi ci sta lasciando un mondo nel quale le distanze tra gli Stati, fino a ieri abissali, si sono accorciate. Un pianeta che va re-interpretato, perché la chiave di lettura “Nord-Sud” non è più sufficiente. Dal club ristretto dei G8 si è passati in modo indolore ai G20. Senza dubbio è stato un passo avanti verso la democratizzazione della politica internazionale, ma fuori dalla porta del salotto buono continuano a esserci decine e decine di Paesi. Siamo visibilmente tornati ai tempi delle potenze, con la differenza che rispetto al passato le potenze si sono moltiplicate.

Insomma, viviamo in un mondo in confusione, che non ha ancora trovato un nuovo equilibrio e nel quale non ci sono uno o due baricentri in grado di reggere l’ordine internazionale, come nello schema della Guerra Fredda. Il rischio è il ritorno di fiamma della microconflittualità, come in effetti sta avvenendo; guerre che magari non creano grandi sconvolgimenti geopolitici, ma rendono comunque un inferno la vita delle persone coinvolte.

C’è però anche un aspetto positivo, ed è che oggi tanti soggetti nuovi trovano spazio per “fare politica” e per incidere davvero sulla vita comune. Le realtà con voce in capitolo sugli equilibri politici ed economici si sono infatti moltiplicate: i movimenti, le ONG, le “piazze”, il popolo di Internet, la cittadinanza attiva, tutte modalità di una nuova politica che in questo quadro di incertezze trova maggiori margini d’azione. Forse un cambiamento in positivo è possibile, se non sprecheremo questa opportunità per ripensare noi stessi.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)