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La sociologia più tradizionale del Novecento formulò il concetto di “classe media” nei luoghi e nei tempi in cui stava cominciando a manifestarsi una fascia di popolazione che non apparteneva né ai ceti popolari né a quelli benestanti. Quindi prima negli Stati Uniti, poi in Europa e via via in Corea e Giappone, Australia e Nuova Zelanda: con poche eccezioni, quando si parlava di ceti medi si parlava di Occidente. Nel resto del pianeta si era ancora prigionieri di uno schema duale ricchi-poveri, una struttura sociale che, tra l’altro, serviva per identificare il Sud del mondo e distinguerlo dal Nord.

Oggi un’originale ricerca del centro studi del colosso bancario inglese HSBC racconta che la composizione sociale del mondo è in piena transizione. Secondo questa indagine, verso il 2050, cioè dopodomani se si misura il tempo con un approccio storico, oltre tre miliardi di persone ingrosseranno le fila dei ceti medi in tutto il mondo. Praticamente tutti vivranno nei 17 più importanti Paesi emergenti, dalla Cina all’India, dal Perú al Brasile e alle Filippine. Nei Paesi che furono la culla della classe media si prevede invece un arretramento.

Le grandi aziende che tradizionalmente si rivolgono alla middle class occidentale, come IKEA, Leroy Merlin o Starbucks, stanno già prevedendo massicci investimenti per aprire nuovi esercizi proprio in quei Paesi dove una nuova classe media si affaccerà ai consumi, in Asia e America Latina. Lo studio di HSBC spiega che nel 2050 i cinesi avranno un reddito medio annuo di 18.000 dollari, come gli italiani del 1991, e aggiunge che, fra 35 anni, i cittadini dei Paesi emergenti acquisteranno il 56% di tutti i servizi finanziari, a fronte dell’attuale 18%. Nello stesso periodo la loro quota di mercato nel settore dell’audio-video passerà dal 24% al 55%.

Questa rivoluzione annunciata comporterà anche una nuova narrazione dell’ascesa sociale. L’esordio della classe media negli anni ’50 si rispecchiò nell’American dream, ma a raccontare la riscossa di cinesi o indiani bisogna ancora cominciare. Una peculiarità di questa nuova global middle class è l’alta percentuale di giovani, e in particolare di giovani che fanno figli, situazione alla quale non eravamo più abituati. Per questo, almeno potenzialmente, questo nuovo ceto consumerà di più.

Questi dati dovrebbero far suonare un grave campanello d’allarme, invece sono circondati dal silenzio. Se in tempi rapidi e certi non si riuscirà a trovare valide alternative all’uso dissennato di risorse e territori, se non si supererà presto la schiavitù nei confronti dell’energia da fonte fossile, il mondo, dal punto di vista ambientale, raggiungerà presto il punto di non ritorno, arriveremo alla rottura definitiva dell’equilibrio tra le risorse esistenti e i bisogni della società dei consumi.

Questo orizzonte dovrebbe porre in cima a tutte le agende politiche l’investimento per la riconversione sostenibile delle attività economiche e degli stili di vita. Una novità però ci sarà, e già si sta palesando in Cina: a preoccuparsi dei temi ambientali questa volta non sarà solo l’Occidente dalla coscienza sporca, che finora lo ha fatto spesso più a parole che con i fatti. Ci saranno anche quei Paesi che pensano al futuro con ottimismo, e che per la prima volta vogliono godersi una vita migliore.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)