In Africa, dopo la Cina, è arrivato il turno dell’India, un altro Paese BRIC in veloce crescita demografica ed economica, in progressivo avvicinamento al plotone delle potenze mondiali. La presenza indiana nel Continente Nero è caratterizzata dalla discrezione, dalla politica dei piccoli passi e del consolidamento progressivo delle posizioni conquistate. Niente a che vedere con la spettacolarità del drago cinese, anche se gli obiettivi non sono molto dissimili.
Per gli analisti, l’intensificarsi degli scambi commerciali tra India e Africa è frutto anche di una scelta strategica di New Delhi, che punta a “farsi notare” dall’ONU e a ottenere un posto fisso nel Consiglio di sicurezza. La progressione dello scambio economico è stata infatti impressionante, dagli 8 miliardi di dollari del 2004 ai 22 del 2012, e le previsioni dicono che fra 3 anni si arriverà a 100 miliardi. Nonostante le differenze di stile, la tipologia delle relazioni commerciali ed economiche è sorprendentemente sovrapponibile a quella cinese: anche per l’India si tratta di realizzare una diversificazione delle fonti energetiche su scala mondiale, di garantirsi forniture certe di materie prime e prodotti alimentari, e di aprire nuovi mercati.
A un primo sguardo l’iter parrebbe ricalcare quello seguito dalle potenze coloniali di 150 anni fa. In realtà il fenomeno è diverso. I colonizzatori di un tempo, infatti, non puntavano a procurarsi alimenti per soddisfare il loro consumo interno, né andavano esplicitamente in cerca di fonti energetiche, ma solo di materie prime strategiche. All’epoca gli obiettivi primari erano lo sfruttamento della forza lavoro locale e la conquista di posizioni geopolitiche di rendita.
Oggi le imprese indiane sono presenti nell’industria automobilistica in Africa del Sud così come in Marocco, nel comparto farmaceutico in Africa australe e in ambiti d’eccellenza in Senegal e Costa d’Avorio. È interessante notare che soprattutto i settori più evoluti sono destinati a beneficiare di un forte impulso tecnologico, grazie al fatto che l’India è tra le massime potenze al mondo nel ramo dell’informatica.
La nuova frontiera della diplomazia commerciale indiana è la leva finanziaria. Sono state aperte nuove linee di credito verso i Paesi africani per circa 5 miliardi e mezzo di dollari USA, destinate alle imprese locali con l’obiettivo di spingerle a investire nelle tecnologie indiane. Anche qui, nulla di diverso rispetto alla strategia cinese, ma agli occhi dell’Africa i due Paesi/continenti non hanno lo stesso appeal. L’India appare infatti più debole, incompiuta, con un’economia ancora fortemente basata sull’agricoltura. Insomma, uno Stato più vicino al “vissuto” africano, capace però di dimostrare che anche con questi handicap si può diventare concorrenziali in molti ambiti, si può raggiungere l’eccellenza in diversi settori di punta.
C’è poi da aggiungere che, al contrario di quella cinese, la presenza indiana in Africa è molto antica e ha una consistenza rilevante soprattutto nell’Est e nel Sud del continente. In molti Paesi le comunità indiane hanno il controllo dei piccoli commerci, delle attività produttive su piccola scala, dei mercati locali.
La politica di New Delhi può quindi contare sulla diaspora e sul fatto che in diversi Stati africani ci sono dirigenti della società civile e politica di origine indiana. Ha un peso notevole anche il fatto che l’India è stata a lungo un Paese non allineato, e oggi è considerata una grande democrazia: sotto questo profilo desta meno preoccupazioni della Cina.
Per l’Africa si tratta di una nuova finestra di opportunità. La presenza combinata sino-indiana (e anche quella brasiliana, che si sta affacciando nei Paesi di lingua portoghese), offre opportunità irripetibili. Non essere più considerati esclusivamente produttori di materie prime, poter investire nella creazione di un mercato locale e regionale, spezzare i legami di monopolio con le ex potenze coloniali, immaginare di non essere più soltanto braccia ma anche consumatori: per gli africani sono tutte prospettive nuove. Resta da capire se tutto questo funzionerà, ma l’Africa, dopo secoli di oppressione e di saccheggio, stavolta può almeno provarci.