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Ora che l’iniziativa bellica neo-coloniale di Francia e Gran Bretagna sta raggiungendo il suo scopo immediato, e cioè eliminare il clan tripolitano di Gheddaffi per mandare al potere i cirenaici di Bengassi oltre a  1) assicurarsi che la Libia non si intrometta più negli affari delle ex-colonie francesi e dell’Africa in generale, 2) approfittare della debolezza del governo Berlusconi per scippare un po più di petrolio e dare qualche appalto alle proprie multinazionali.

In queste ore gira in rete il dibattito su cosa avrebbero potuto fare i movimenti pacifisti davanti all’ennesimo conflitto giustificato da “motivi umanitari”.  Non riesco più a immaginare il mondo “pacifista” come
un’entità consolidata in grado di fermare da sola una guerra, soprattutto quando è così chiaro, come nel caso libico, il perché la si fa. Come nel caso della crisi economica, anche nella politica estera “manca la politica”.    E manca il coraggio. La tendenza a sdraiarsi sulle “bizzarrie” dei regimi pur di perpetuare succosi affari lascia il tempo che trova.  La Cina in queste ore sta discutendo una legge che permetterà allo Stato fare “scomparire” i dissidenti per un periodo di tempo senza dovere informare nessuno. Una specie di Guantanamo gigantesco. Abbiamo sentito proteste dai difensori “della libertà”? Il mondo “civile”, fortemente indebitato con la Cina, sta zitto  e si augura che Pechino compri bond. Al resto casomai, in futuro, ci penseremo con una guerra umanitaria.

Gli accordi economici che legano l’Italia con la Libia sono stati perfezionati lungo 10 anni e ricevettero una spinta decisiva durante la gestione degli esteri di D’Alema. Berlusconi ha semplicemente
firmato. Nessuna forza della sinistra si è mai opposta a questi accordi e oggi è nauseante leggere le inchieste di Repubblica sulle torture agli oppositori libici e altre nefandezze del regime di
Ghedaffi che, apparentemente, sono iniziate qualche mese fa, e comunque dopo la visita trionfale a Roma con tanto di predicazione islamica, amazzoni e tende beduine.
La politica estera dovrebbe riscoprire una sua dimensione etica e questo penso sia la grande sfida per le forze progressiste. Qual’è è il giusto punto che può tenere insieme gli interessi nazionali e l’idealità di un mondo più giusto, equo e democratico? Nell’esercizio e nello sviluppo di una politica estera seria e lungimirante risiede la principale prevenzione delle guerre.  Non abbiamo riflettuto seriamente ancora  sul susseguirsi di conflitti, e la loro
natura,  che hanno costellato il post Guerra Fredda, continuando ad affermare che basti la protesta di piazza per “fermare” un conflitto.
“Questo” conflitto libico andava fermato molto prima, perché prevedibile (a intervalli regolari la Cirenaica si ribellava a Ghedaffi e la cosa finiva con bagni di sangue) e l’Italia avrebbe potuto introdurre nel negoziato economico, utilizzando il suo peso politico nel paese nord africano, clausole sull’apertura politica, sulla democrazia a la libertà di espressione e perché no, di riforma dello Stato prevedendo un’aggregazione di tipo federale tra
Tripolitania e Cirenaica. L’Italia s guardò bene  dal farlo. E su questo, allora, nessuno disse nulla.

Alfredo Somoza