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Ciò che l’Italia era riuscita finora a fermare, la giustizia europea rischia invece di autorizzare. L’azienda Pioneer Hi-Bred Italia, braccio locale della multinazionale Du Pont Pioneer, ha ottenuto una sentenza dalla Corte di Giustizia Europea secondo la quale “l’Italia non può vietare la coltivazione di sementi OGM autorizzate dall’UE né bloccarle in attesa che le regioni approvino le misure per garantirne la coesistenza con  le varietà tradizionali e biologiche”.  La Pioneer aveva fatto ricorso contro il Ministero delle Politiche Agricole perché quest’ultimo non aveva autorizzato la coltivazione di mais transgenico, ancorché iscritto sul registro europeo, “in assenza delle norme regionali sulla coesistenza”.

L’Europa che è sempre stata una diga nei confronti delle colture biotech, grazie all’applicazione del cosiddetto principio di precauzione: finché non si dimostra l’innocuità di un prodotto agricolo, non ne può essere permessa la coltivazione né il consumo, nei fatti, però, è ceduta. Oggi da un lato il foraggio destinato ai capi di bestiame europei è abbondantemente composto da soia OGM; dall’altro, l’introduzione nel prontuario delle specie coltivabili in europa  della varietà di mais transgenico numero 810 della Monsanto (“Mon 810”) , avvenuta nel 1998, ha permesso a Spagna, Portogallo, Polonia, Romania, Repubblica Ceca e Slovacchia di raggiungere i 115.000 ettari coltivati a mais geneticamente modificato, con un ritmo di crescita del 25% all’anno. Il ricorso di Pioneer Italia contro l’Italia riguarda proprio il diritto a coltivare il  Mon 810 approvato dall’Unione Europea. L’UE ha lasciato però il diritto ad ogni stato membro di permettere o meno la coltivazione di OGM sul proprio territorio e in Italia, dove i “tecnici” del Governo Monti sono favorevoli (così come la lobby delle grandi aziende agricole), la palla era è passata alle regioni.

La battaglia contro gli OGM a questo punto è seriamente compromessa. L’agricoltura mondiale è sempre più OGM e anche in Europa il vento comincia a soffiare nella stessa direzione. Secondo i dati recentemente pubblicati nel rapporto annuale dell’ISAAA, l’associazione che fa capo alla lobby del transgenico, nel 2011 la superficie mondiale coltivata a OGM è aumentata di 12 milioni di ettari, raggiungendo i 160 milioni di ettari coltivati da 17milioni di agricoltori in 29 Paesi, 19 dei quali in via di sviluppo.

A livello globale, gli Stati Uniti continuano a essere il produttore leader delle colture biotech, con 69 milioni di ettari. Alle loro spalle il Brasile si sta affermando come il nuovo protagonista globale del settore, con 30,3 milioni di ettari coltivati. Seguono l’Argentina (con 24 milioni di ettari) e poi i giganti asiatici India e Cina, specializzati in cotone geneticamente modificato. Nel business è entrata anche l’Africa, a causa delle terre che diversi governi del Continente Nero hanno ceduto a Paesi arabi e asiatici, bisognosi di alimenti o biocombustibili. Tutto ciò ha fatto crescere il comparto dell’11% nei Paesi in via di sviluppo e del 5% in quelli industrializzati. Intanto la scienza continua a non chiarire se i prodotti transgenici possano avere conseguenze negative sulla salute umana né, tantomeno, spiega quali siano gli eventuali effetti che essi potrebbero sviluppare.

In questo contesto, l’affermazione definitiva dell’agricoltura OGM dipende fondamentalmente dalla posizione che l’Europa assumerà in futuro. Un’Europa che fatica a mantenere la storica posizione di sostanziale chiusura al biotech, preoccupata dal fatto che, se tenesse ferma la rotta, toglierebbe ai propri agricoltori l’opportunità di fare più profitti. Una delle vie di uscita a disposizione della Commissione Europea, forse la peggiore ma purtroppo approvata, è consistita nell’autorizzare la libera scelta dei singoli Paesi. Il rompete le righe sta avendo come conseguenza la fine della diversità europea: una diversità costruita negli anni malgrado il peso delle lobby, soprattutto grazie al successo dei movimenti  che si battono contro la cosiddetta agricoltura Frankenstein.

I Paesi emergenti e quelli più poveri, invece, ripongono molta fiducia nell’aumento della produzione che gli OGM sembrano garantire. Tuttavia questo convincimento contrasta con i risultati di una recente indagine della FAO sulla sicurezza alimentare: pur escludendo gli organismi geneticamente modificati, lo studio conclude che la produzione alimentare continuerà a crescere nei prossimi trent’anni e supererà la crescita demografica. Ciò nonostante, sempre secondo l’indagine della FAO, non si riuscirà a soddisfare il fabbisogno umano, perché le vere cause della fame e della malnutrizione sono la povertà e la mancanza di accesso alle risorse alimentari: due questioni che i sostenitori degli alimenti transgenici non affrontano, due situazioni critiche che il modello dell’agrobusiness OGM tende a peggiorare.

Per il mais transgenico in Italia la palla torna ora ai magistrati che dovranno decidere se sbloccare o meno le coltivazioni OGM

 

Alfredo Somoza