La storia politica di Daniel Ortega è unica nel suo genere. Dopo avere guidato l’unica rivoluzione vincente che ha mantenuto in vita il pluripartitismo, convocato elezioni, perso e consegnato il potere ai vincitori, ha iniziato una seconda vita politica che lo vede ancora al potere nel piccolo Nicaragua.
E questo perché il camaleontico Ortega ha saputo adoperare una retorica e una pratica politica sempre adeguata ai tempi, oltre a essere diventato maestro della manipolazione, dell’uso politico della corruzione e della repressione. Negli anni Sessanta, dopo essere passato dal Collegio dei Gesuiti, Daniel diventa guerrigliero e sale man mano nella gerarchia del Fronte Sandinista fino a diventare Presidente della Giunta rivoluzionaria che si insedia al potere, davanti al Vescovo di Managua, nel 1979.
Un governo di unità nazionale anti-dittatura con appartenenti a tradizioni diverse, dai cattolici ai marxisti, passando anche dalle grandi famiglie illuminate come i Chamorro. Il governo sandinista, confermato dalle urne nel 1984 dovrà fare fronte a un’aggressione militare ed economica con pochi precedenti. Gli Stati Uniti finanziano e armano clandestinamente la cosiddetta “contra”, che inizia una guerra armata contro il governo, e sabotano l’economia del paese fino a minarne i porti, azioni per le quali gli Usa vengono condannati dal Tribunale dell’Aia nel 1986.
Malgrado la situazione, e a dimostrazione di quanto la rivoluzione sandinista fosse principalmente un movimento radicale contro la dittatura ma restasse nel campo democratico, nel 1990 si torna al voto e vince la coalizione antisandinista messa insieme da Violeta Chamorro, già membro della prima giunta rivoluzionaria e proprietaria del più importante quotidiano del paese, “La Prensa”.
Il risultato viene riconosciuto e il potere consegnato, ma nella fase di transizione già si può notare la trasformazione in corso nell’entourage di Ortega con la cosiddetta” piñata”, cioè la spartizione di terre e aziende tra alcuni capi della rivoluzione in base a due leggi approvate ad hoc. Erano beni confiscati soprattutto, ma non solo, alla dinastia dei Somoza rovesciata dai sandinisti e poi nazionalizzate. Ortega stesso diventa proprietario terriero lungo il fiume San Juàn al confine con il Costa Rica. Si calcola che il valore di quanto accaparrato dai dirigenti sandinisti sconfitti fosse di 1,3 miliardi di dollari. E non stavano rubando ai ricchi latifondisti, stavano rubando allo stato nicaraguense. Con la piñata [la Pentolaccia] si chiude la stagione del sandinismo storico che si divide in due tronconi, i dirigenti ed ex guerriglieri che tentano di mantenere in vita gli ideali di Sandino e il “danielismo”, cioè il gruppo di potere che si forma attorno a Ortega e che lo accompagnerà nelle piroette degli anni successivi.
Centrale in questa costruzione sua moglie, Rosaria Murillo, che difese Ortega dall’accusa di violenza sessuale ai danni di sua figlia (di un precedente matrimonio) Zoila América. Ortega non fu mai processato per questo reato grazie all’immunità parlamentare. Il Nicaragua di Ortega ha bisogno di ossigeno e alleanze e fa diplomazia a tutto campo, inserendosi nel gruppo dei paesi dell’Alba, la alleanza bolivariana promossa da Hugo Chávez insieme a Cuba, Bolivia e Venezuela. Scelta che lo porta anche a stringere rapporti con Russia, Cina, Siria, Iran.
Il camaleonte di Managua si vende internazionalmente come un progressista e antimperialista di ferro, ma in realtà è a capo di una cleptocrazia a gestione familiare che sopravvive grazie alle alleanze spericolate sottobanco con i peggiori settori del mondo dell’industria e della finanza nazionale. Senza dimenticare i forti sospetti di rapporti con il potente mondo del narcotraffico che però non sono mai stati dimostrati con certezza.
Nel 2016 vince ancora le elezioni, questa volta con il 72%, in un crescendo ininterrotto di consensi. La vicepresidente ora è Rosaria Murillo, sua moglie, e durante la campagna elettorale era avvenuta un altro mutazione del camaleonte, diventato icona new age con slogan tipo “l’allegria di vivere in pace” o ”amore per Nicaragua”. Si registra anche l’avvicinamento del cattolico Ortega al mondo delle chiese evangeliche, ormai pedine imprescindibili per vincere in Centro America. Il paese soffre e resta ancorato agli ultimi posti del continente per povertà, circa il 40% dei nicaraguensi si trovano sotto la soglia considerata minima per vivere dagli organismi internazionali.
Nel 2015 e poi nel 2018 si registrano grandi manifestazioni contro il clan Ortega. Il motivo è una riforma previdenziale sancita senza sentire le parti che viene fortemente contestata dai lavoratori con il sostegno degli studenti universitari. La repressione diventerà brutale, addirittura vengono violate le chiese dove si rifugiano i manifestanti. La Commissione Interamericana dei Diritti Umani certifica che i morti per la repressione sono stati 328, centinaia i detenuti e i licenziati dal pubblico impiego, 88.000 gli esuli fuggiti all’estero. Il governo Ortega diventa definitivamente regime quando rifiuta l’arrivo nel paese di una missione con il compito di verificare i fatti.
Viene istaurato uno stato di polizia e cominciano a essere perseguitati i giornalisti, ma soprattutto si moltiplicano le leggi che dovrebbero preparare il terreno per l’ennesima rielezione di Ortega del 7 novembre 2021. Come quella che inibisce le candidature delle persone che si siano manifestate a favore delle sanzioni applicate dagli Usa ai congiunti del presidente, oppure quell’altra che considera le persone che abbiano ricevuto finanziamenti dall’estero per le loro attività politiche o culturali alla pari di agenti stranieri. Ciliegina sulla torta: la legge sui cyber-reati colpisce la libertà di espressione.
Questo combinato disposto di repressione e legislazione da regime ha portato nelle ultime settimane all’arresto e all’inibizione a candidarsi dei principali leader dell’opposizione, sia di destra che di sinistra, includendo alcuni personaggi storici della rivoluzione sandinista come la “Comandante 2”, Dora Marìa Téllez. Il Nicaragua si avvicina quindi nel modo peggiore alle elezioni del 7 novembre, alle quali non saranno ammessi candidati fastidiosi, non saranno controllate da nessuno e si svolgeranno in un paese senza più libertà di stampa e nel quale non si è mai riusciti a conoscere la situazione determinata dalla pandemia.
Il Nicaragua, dopo 42 anni dalla fine del somozismo, è tornato a essere un paese governato da un regime corrotto e repressivo gestito da un clan familiare. Lo stesso scenario che portò a ribellarsi sia Augusto César Sandino nel 1926 sia i sandinisti nel 1979. La storia politica del camaleonte Ortega è unica in America Latina proprio per questo dato, da comandante di una rivoluzione contro l’ingiustizia e il totalitarismo a ricco e corrotto gestore di un regime che ha portato indietro nel tempo il Nicaragua, fino alla prossima ribellione.

ciao,
ho pubblicato l’articolo!
Grazie e ciao Mario
La seguo e la apprezzo da tempo su radio pop ma sul Nicaragua che, penso di conoscere bene, credo stia prendendo una cantonata.
Se è tutto vero fino alla pinata e al familismo bisogna ricordare anche che il paese è familista, si muove per clan, da sempre. Anche i Chamorro lo sono e gli ultimi rampolli non sono certo dei novelli Assange. Sulla divisione del sandinismo poi i non danielisti per avversare Ortega si sono sempre mossi sulle posizioni politiche della peggiore destra nicaraguenze e se non fosse per le loro relazioni internazionali che fanno rimbalzare i comunicati dell’MRS in occidente le loro posizioni, come quella che ha espresso nella seconda parte del suo articolo, non avrebbero alcun peso. Come loro.
Quindi clanico, vecchio familista e malato, spregiudicato. Vero. Come è vero, ma lei non ne ha parlato, che non esiste in america centrale un governo che abbia fatto così tanto per i cittadini (sanità scuola abitazioni). Come è vero che nel 2018 c’è stato un tentato golpe, che si è mosso con ingenti mezzi sui social e con atti di sabotaggio, devastazioni e linciaggi delegati a pandillas interne ed esterne. Appoggiandosi alla chiesa, nel senso che riponevano le armi all’interno delle chiese (ha mai sentito parlare qualche parroco nicaraguense? Padre Livio di radio Maria apparirebbe un progressita). Insomma, per molto meno in Europa sciolgono repentinamente blocchi e sabotaggi (si immagini se venisse bloccatal’autostrada a Bologna, quanto durerebbe, e bloccarono il paese per giorni e giorni!) e nel 2018 sorpresi dall’onda social il governo è stato stordito ed ha tergiversato e persino per chi conosce bene il Nicaragua ci è voluta almeno una settimana per comprendere la presunta feroce repressione.
Alfredo, non possiamo esigere standard “svizzeri” dalla politica nicaraguense dell’FSLN e solo da lì, uniformarsi a chi detta la linea alle notizie spinte da milioni e milioni di dollari di ingerenza, immaginare che i loro avversari siano meglio a prescindere, che le violenze non abbiano mandante, che non si possa perseguire nessuno.
Questo lo dicono quelli del patio trasero, quelli che si sentono in diritto di sanzionare il mondo, ma lei può informare meglio di così.
Buon lavoro
Caro Maurizio, negli anni ho avuto il privilegio di conoscere di persona diversi protagonisti della stagione sandinista: Borge, Padre Cardenal, Gioconda Beli,Ramirez e lo stesso Ortega. Ho ben presente cosa e’ stata quell’esperienza e cos’e’ oggi il Fmnl usurpato da Ortega. La situazione odierna si avvicina velocemente a quella contro la quale si batterono negli anni ’70. Una famiglia al potere, oppositori in galera o profughi, repressione. Quando parla di pressunta repressione sta insultando la memoria degli oltre 300 morti durante el estalido social. Nessun regime e’ giustificato in base al passato remoto, per quanto fece per la scuola e per la sanita (il sandinismo storico mica lui) 30 anni fa e le elezioni di domani saranno da tutti i punti di vista illeggittime. Questo lo dice la destra? Meglio per loro, ma i regimi non sono ne di destra ne di sinistra, sono regimi. In Europa o in Centro America. Cordialita.