Il Fondo Monetario Internazionale dopo la tempesta

Pubblicato: 6 giugno 2011 in Mondo
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Negli anni Ottanta era la bestia nera dei movimenti che in tutto il mondo si battevano per una soluzione al problema del debito estero dei Paesi in via di sviluppo e veniva dipinto come un direttorio, nato all’indomani degli accordi di Bretton Woods del 1944, a tutela del ruolo del dollaro USA quale moneta di riferimento per gli scambi mondiali: stiamo ovviamente parlando del Fondo Monetario Internazionale, che da statuto doveva occuparsi di garantire la stabilità monetaria mondiale e favorire gli scambi commerciali. In realtà esso era diventato il guardiano degli interessi degli Stati più industrializzati, imponendo ricette recessive ai Paesi indebitati e classificando i governi in buoni e cattivi, sempre a senso unico. Questo perché il suo meccanismo di governo, che non prevede la formula “una testa-un voto”, assegna la maggioranza a un gruppo di Stati europei, al Giappone e agli USA, in base al capitale versato. Da organismo di regolamentazione delle valute a club dei creditori e superministero dell’economia mondiale il passaggio è stato breve. I Paesi indebitati, a esclusione di quelli che detenevano la maggioranza dei voti del FMI come gli Stati Uniti stessi, si sono visti imporre le famigerate “ricette” del FMI, cioè piani di aggiustamento strutturale perfettamente allineati con i dettami della dottrina neoliberalista in economia, che hanno portato al ridimensionamento della spesa sociale e previdenziale e alle privatizzazioni dei beni pubblici. Ne sono state vittime in questi decenni realtà come Indonesia, Ecuador, Messico, Egitto, Thailandia e decine di altri Paesi che hanno dovuto cedere la propria autonomia in materia economica ai tecnocrati designati dal FMI. C’è una data simbolica a partire dalla quale le cose hanno iniziato a cambiare, seppur lentamente: dicembre 2001, quando l’Argentina dichiarò il default malgrado le attenzioni decennali che le erano state riservate da parte del Fondo Monetario. In quei mesi si cominciò a parlare di “uscita dal FMI” come unica possibilità per cambiare le cose. Negli anni successivi si è fatta avanti anche un’altra linea, sostenuta dal Mercosur: provare a estinguere i debiti verso il FMI e puntare a contare di più all’interno della sua assemblea, aumentando il capitale versato. Questa politica ha portato all’annuncio in seno al G20 di un’imminente riforma dell’istituzione monetaria. Una riforma che sottrarrà due posti all’Europa per assegnarli ai Paesi del BRICS (Brasile, Russia, Cina, India e Sud Africa) e al riequilibrio dei meccanismi di voto in base a una ricapitalizzazione (la quale porterà, per esempio, India e Cina ad accrescere del 6% le proprie quote). Questo cedimento dei “Grandi” non è dovuto a un tardivo rigurgito democratico, ma alla consapevolezza che o si allarga il tavolo delle decisioni oppure non esistono possibilità di trovare una soluzione ai problemi globali. Un equilibrio nuovo, che ora tutti cominciano a voler raggiungere e che potrebbe far voltare definitivamente pagina rispetto all’eredità del colonialismo e delle navi cannoniere. L’elezione del nuovo Direttore Generale ci darà un’indicazione di quanto vogliano resistere ancora le vecchie potenze prima di prendere atto dei mutati equilibri mondiali

Alfredo Somoza

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