In qualsiasi lingua si cerchino su Google le parole “protettorato” e “Haiti”, le pagine recensite si contano in decine di migliaia. Haiti non condivide con l’Africa soltanto il colore della pelle della popolazione, ma anche la povertà estrema e il fatto di essere vittima degli elementi e della corruzione politica. Haiti è uno di quei “non-Paesi” per i quali sempre più spesso si parla di trust law, cioè di amministrazione fiduciaria da parte della comunità internazionale; in parole semplici, rendere Haiti temporaneamente “non sovrana”, creando un protettorato.
Haiti è un Paese fallito? Molti pensano di sì, e che quindi il processo elettorale – caotico e contestato – svoltosi recentemente, non permetterà un ritorno alla normalità in uno Stato che, dopo il terremoto, assiste impotente al rientro dal suo esilio dorato in Francia del feroce ex-dittatore Baby Doc per candidarsi a salvare il Paese dal caos.
In realtà, da anni Haiti è un protettorato di fatto, con una gestione condivisa tra USA e Brasile, che forniscono i caschi blu della missione ONU. Un protettorato come il Kosovo e la Bosnia-Erzegovina nei Balcani, come la Liberia e la Sierra Leone in Africa, come Panama in Centroamerica e Timor in Asia. Non popoli senza Stato, come i kurdi o i palestinesi, ma Paesi senza Stato.
La tentazione di un’ingerenza diretta, alla luce del sole, nella gestione di realtà che per un motivo o per l’altro “non ce la fanno da sole”, alimenta la voglia di neocolonialismo, come ha recentemente denunciato sulle pagine di “Le Monde” lo scrittore guineano Tierno Monénembo a proposito delle elezioni in Costa d’Avorio e in Guinea. Qui, come anche in Haiti, il compito di stabilire chi ha vinto e chi ha perso non spetta alle competenti autorità elettorali locali ma ai funzionari dell’ONU, dietro i quali si intravedono facilmente gli interessi delle potenze che hanno fornito i caschi blu e i finanziamenti per le missioni di pace. Per ora questi sono episodi isolati e circoscritti a Paesi che hanno sofferto atrocità dovute a guerre o disastri naturali, ma aumentano come tipologia: si tratta di territori più che di Paesi, con autorità chiaramente di facciata e senza riconoscimento, con l’ONU (o una potenza in suo nome) che garantisce ordine e legittimità. Le Nazioni Unite vengono così ridotte al ruolo di garante di accordi impossibili, di comunità irreconciliabili, di Stati senza senso e diventano l’ultimo responsabile di fallimenti annunciati. L’istituzione che doveva guidare la comunità internazionale fuori dal mondo bipolare, in un nuovo dialogo più paritario tra tutti, si riduce così a tappabuchi del fallimento di politiche vecchie e nuove e viene utilizzata come paravento dalle potenze di ieri e di oggi.
Cambiano i tempi, ma il tanto auspicato “concerto delle nazioni” rimane sempre un assolo di solisti, ognuno concentrato sulla propria musica.
c8 solo un lampo, la mia riflessione, dura aeppna un attimo: per cui prendetela com’e8 venuta. Con i suoi limiti, eccetera eccetera. Perf2 penso davvero che sia un’infamia che in una Repubblica democratica fondata sul lavoro (l’Italia) per avere il minimo indispensabile a volte sia necessario massacrarsi di fatica, in balia di contratti capestro, pensati per mantenere precari e togliere i diritti. Tutto cif2 non ha nulla a che vedere col nazismo, naturalmente, e infatti si tratta solo di una riflessione lampo . Per questo non capisco che cosa c’entri il fatto che se si dimentichere0 l’olocausto si ripeteranno gli stessi errori Che non e8 per forza retorica, dipende da come s’intende la frase. Insomma, qualcosa la storia dovre0 pure insegnare. Oggi mi sembra di poter dire che ne9 le democrazie occidentali, ne9 lo Stato di Israele abbiano imparato molto, per quanto oggi ne9 le democrazie occidentali ne9 lo Stato d’Israele siano nazisti