Con l’attacco all’Iran da parte degli Stati Uniti, Paese che con Teheran non aveva particolari vertenze, a differenza di Israele, sono scomparse anche quelle poche briciole del diritto internazionale che erano sopravvissute a diverse ondate di forzature, a partire dalla risposta di George W. Bush agli attentati dell’11 settembre del 2001. Era stato proprio Bush junior a teorizzare per la prima volta una formula poi molto gettonata, la cosiddetta “difesa preventiva”. Una strategia che non è prevista in nessun capitolo del diritto internazionale e che può essere applicata soltanto da chi ha, o pensa di avere, una netta superiorità militare sull’avversario. Ovviamente, la difesa preventiva fa il paio con il disconoscimento del vero diritto internazionale e degli organismi che lo incarnano, dalle Nazioni Unite alla Corte Penale Internazionale. È sufficiente essere nelle grazie di una delle 5 potenze che esercitano diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza per essere certi di poter infrangere impunemente anche le risoluzioni “vincolanti”. Basta non riconoscere la Corte Penale Internazionale – e non essere leader di Stati africani o balcanici – per essere sicuri di farla franca anche se si è colpevoli di crimini contro l’umanità.
La teoria della difesa preventiva è quella cui si è appellato anche Vladimir Putin invadendo la “minacciosa” Ucraina, ed è la strategia che ora Israele e Stati Uniti adottano per ostacolare il programma nucleare iraniano. Senza il timore di pagarne le conseguenze. Gli alleati, in questa logica, vengono gestiti quasi con disprezzo, nel migliore dei casi informandoli di ciò che si è già deciso di fare, senza mai chiedere un parere o discutere di alternative alle cannoniere. L’Europa sa bene come funziona, ora che tra i leader del Vecchio Continente è in corso la gara del “mi avevano avvertito”, per accreditarsi come favoriti di Washington e non apparire del tutto ignorati. Il primo della classe è l’inglese Keir Starmer, che ha garantito di essere stato “avvisato con congruo anticipo”. Una via di mezzo è il cancelliere tedesco Friedrich Merz, che dice di essere stato avvertito “a operazione in corso”. Altri, come Emmanuel Macron e Giorgia Meloni, non sono stati nemmeno raggiunti dal centralino della Casa Bianca.
È l’ennesima dimostrazione della fine del cosiddetto Occidente, inteso come blocco ideologico-economico-militare coeso. Oggi chi “fa” la politica internazionale senza il minimo rispetto del diritto internazionale si nasconde dietro la foglia di fico della difesa degli alti valori dell’Occidente, ma non considera nemmeno l’ipotesi di consultarsi con chi dell’Occidente fa parte, quelli che una volta erano gli “alleati storici”. I quali sono ridotti ad accontentarsi della telefonata di Washington per sentirsi ancora importanti. Come se l’essere stati “avvertiti” o no cambi qualcosa, rispetto alla loro nullaggine e al futuro del mondo. Se pensano che, come in una vecchia pubblicità, una telefonata gli possa allungare la vita, si sbagliano totalmente: ogni sgarbo che subiscono fa sfumare quel residuo di credibilità di cui ancora godono tra i cittadini.
Chiedere il dialogo e la pace oggi non rende: non perché le persone siano assetate di sangue, ma perché gli apparati di propaganda montati dai leader bellicisti fanno credere ai cittadini di essere tutti a rischio, e che non vi sia altra soluzione che muovere guerra (magari preventivamente) per risolvere qualsiasi problema. La politica internazionale ormai parla la lingua delle caserme ed è la sconfitta finale della politica, che rinnegando il suo compito lascia che siano militari e fabbricanti di armi a disegnare gli equilibri mondiali. Una storia ben nota, che abbiamo studiato a scuola e che abbiamo imparato a ricordare davanti ai monumenti ai caduti, ma che oggi è tornata maledettamente di attualità.
