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Pare difficile anche solo da immaginare, una geopolitica mondiale senza la centralità del blocco occidentale. Eppure, l’insieme dei Paesi che definiamo “occidentali” agisce in modo coordinato soltanto dalla fine della Seconda Guerra mondiale: fino ad allora, questi Stati si erano spesso ritrovati su fronti politico-militari opposti. Basterebbe questo a dimostrare come sia una forzatura storica interpretare in chiave valoriale e assoluta un concetto – quello di Occidente, appunto – che è storicamente labile e frutto di equilibri definitisi solo a metà Novecento. Ciò non significa negare che dell’Occidente facciano parte Paesi caratterizzati, almeno negli ultimi 70 anni, dalla democrazia liberale: del resto, il compattamento di questo gruppo, del quale fanno parte Stati geograficamente lontani come Australia, Nuova Zelanda o Giappone, è stato una conseguenza della vittoria alleata contro la Germania nazista.

Vale la pena, allora, ripercorrere l’evoluzione dell’idea di Occidente. Nel Medioevo, così si indicavano le terre cristiane a ovest di Gerusalemme; dal XVI secolo il concetto si estese alle colonie delle Americhe, passando in eredità ai Paesi che sarebbero nati nelle ex conquiste spagnole, portoghesi, francesi e inglesi. Ma questa visione sarebbe cambiata di nuovo, restringendo il perimetro dell’Occidente ai Paesi democratici sì, ma anche economicamente avanzati, escludendo e relegando in un generico “terzo mondo” l’America Latina che pure aveva finanziato l’espansione coloniale a livello globale. Dalla nascita del G7, formalizzata nel 1986, il club dell’Occidente si è ulteriormente ristretto ai sette Paesi più ricchi dell’epoca. Da allora, è stato questo il nucleo portante delle politiche finanziarie, economiche, ambientali e militari a livello mondiale: una visione economica unica, imposta anche nelle istituzioni multilaterali, e una politica militare unica, operata attraverso la NATO.

La frattura che si sta registrando nelle ultime settimane tra le due sponde dell’Atlantico segna un nuovo cambiamento e rappresenta un salto nel buio in un mondo già tribalizzato, caratterizzato da potenze emergenti militarmente aggressive e da un diritto internazionale in piena crisi. Ci riporta a uno schema che assomiglia molto a quello ottocentesco e d’inizio ’900, nel quale ogni potenza tentava di conquistare a proprio vantaggio una parte di mondo e di affari senza sognarsi di discutere con nessuno, stabilendo solo alleanze temporanee di tipo utilitarista. L’appello (più o meno retorico) ai principi di libertà, democrazia, uguaglianza era ancora sconosciuto: sarebbe stato introdotto al tempo della lotta al nazifascismo e poi al comunismo e infine al terrorismo jihadista. Attribuire l’attuale criticità soltanto al cambiamento di presidenza negli Stati Uniti è molto riduttivo. I due Occidenti, quello americano e quello europeo, si erano già allontanati nel modello di società, nell’interpretazione della democrazia, nella visione del mondo. Una frattura culturale e sociale si è aperta prima ancora di quella politica. La grande differenza è che oggi gli USA sono sovrani nel decidere la loro azione, i Paesi europei si trovano a fare i conti con un “contenitore” multilaterale inconcluso, l’UE, che paralizza più che agevolare il ruolo del continente nel mondo. Non c’è da stupirsi se nel dibattito sul conflitto mediorientale o sulla guerra in Ucraina l’Europa sia stata lasciata fuori dalla porta. La domanda da porsi è come mai nel 2025 l’Unione non abbia competenze in merito di difesa comune e di politica estera. I ritardi, i malintesi, le controversie nella famiglia europea hanno un prezzo, lo sapevamo, e ora tutti possono vedere qual è: l’inadeguatezza nel fare fronte alle odierne complessità del mondo. Inclusa la trasformazione dell’Occidente

Per spiegare il conflitto russo-ucraino si sta facendo spesso riferimento alle teorie di Samuel Huntington, il politologo statunitense che nel 1993 contrappose il concetto di “scontro delle civiltà” alle tesi del collega Francis Fukuyama, il teorico della “fine della storia”. Huntington non credeva che la vittoria degli Stati Uniti sull’Unione Sovietica nella Guerra Fredda avrebbe portato a un mondo unipolare nel quale mercato e democrazia avrebbero prevalso per sempre; al contrario, ipotizzava che a breve si sarebbero riaccesi scontri “tra civiltà”. Nella sua idea di civiltà, però, si mescolavano alcuni dati di fatto con molta fantasia. Se è vero che esiste un mondo fortemente influenzato dall’Islam sotto il profilo culturale, occorre anche precisare che esso è politicamente disomogeneo; inoltre non è mai esistita una “civiltà latinoamericana” se non nella visione stereotipata che uno statunitense può avere del mondo che si sviluppa a sud del Río Bravo. È però un altro il punto sul quale Huntington ha operato una clamorosa forzatura: e cioè quando da una parte ha definito il concetto di “Occidente” sulla base della ricchezza, e quindi includendovi il Giappone, e dall’altra ha definito un mondo cristiano ortodosso, gravitante attorno alla Russia, su basi culturali.

La lettura della geopolitica di Huntington è stata smentita più volte dalla storia recente. Il cosiddetto “mondo islamico” è stato sconvolto da lotte intestine tra sciiti e sunniti, e tra Stati e movimenti jihadisti. Dell’inconsistenza del concetto di mondo latinoamericano si è detto, e anche il “mondo africano” non è mai esistito. Soprattutto, il concetto di Occidente è ormai fuori dalla storia.


La definizione “Occidente” ha un preciso significato culturale, legato alle sue origini storico-religiose: collocando Gerusalemme al centro del mondo, come a lungo fecero i cristiani, Occidente era la collocazione geografica dell’Europa, terra cristiana per eccellenza. Ma l’Occidente di cui parla la stampa internazionale, quando afferma che la guerra di Putin all’Ucraina è una guerra “contro l’Occidente”, è altra cosa: una specie di club al quale si accede sulla base di parametri variabili, in base ora alla ricchezza, ora al sistema politico o alle libertà civili di cui godono i popoli.

Possono dunque essere “occidentali” i giapponesi, in grande maggioranza non cristiani e geograficamente collocati in Estremo Oriente, così come lo sono l’America Latina, anche quella indigena o affacciata sul Pacifico, e lo Stato ebraico di Israele. Nel primo caso perché ricchi e democratici, nel secondo perché cristiana, nel terzo perché popolato a maggioranza da cittadini di origine europea. “Occidente” è quindi un concetto che si può adattare alla bisogna, per spiegare qualsiasi cosa, e soprattutto per affermare che esiste un consenso unanime, appunto tra i Paesi “occidentali”, riguardo i valori di democrazia e libertà. Dato che in realtà è tutto da verificare, soprattutto perché del drappello considerato occidentale fanno parte Stati che continuano a occupare territori non loro, che discriminano minoranze etniche, che promuovono conflitti armati e vendono armi senza preoccuparsi dell’utilizzo che ne farà l’acquirente, che usano il diritto di veto all’ONU per favorire gli amici, sostenendo dittatori in giro per il mondo.

Non esistono infatti blocchi valoriali: nemmeno laddove vi sono profondi legami storico-culturali, come tra Ucraina e Russia. Per questo motivo Vladimir Putin non sta combattendo contro l’Occidente ma per garantirsi una “cintura di sicurezza” attorno alle frontiere occidentali russe. Principio discutibile e senza dubbio perseguito con il metodo sbagliato, ma l’ultimo dei pensieri di Putin, in queste ore, è quello di condurre una lotta nell’ambito di uno scontro di civiltà. Il mondo d’oggi, in realtà, è molto più semplice di quello della Guerra Fredda, essendo venuta a mancare la componente ideologica: lo scontro si riduce alla conquista, alla tutela e all’allargamento del potere. Non ci sono secondi fini ideali o etici, solo equilibri da ricomporre o da ribaltare. La vecchia idea di Occidente nulla c’entra con l’uso che di questa parola si fa in tempi di guerra. Soprattutto se si considera che gli stessi Paesi occidentali, negli ultimi decenni, hanno usato più volte la guerra come strumento di politica estera. Putin combatte, sbagliando metodo, per conservare la posizione di forza che il suo Paese si è costruito negli anni in Europa orientale. Non è un crociato del “mondo ortodosso” e non sta combattendo l’Occidente, ma soltanto un Paese più piccolo e debole del suo, che ha provato a essere indipendente e decidere da solo.