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Ormai sono pochi lembi di territorio quasi dimenticati, ma i loro nomi riportano ai secoli di splendore della più grande potenza marinara di tutti i tempi, la Gran Bretagna del XVI secolo, quella di Elisabetta I e sir Francis Drake. Isolette sperdute negli oceani, in sé di scarsissimo interesse economico, che però erano fondamentali per garantire il totale dominio dei mari ai velieri di Sua Maestà. Londra divenne grande quando riuscì ad assicurare ovunque la libera circolazione delle proprie navi: le isolette caraibiche, Hong Kong, la rocca di Gibilterra, Sant’Elena, le Pitcairn dovevano essere difese con le unghie e con i denti perché si trovavano esattamente negli spartiacque oceanici o a difesa di mari interni ricchi di opportunità per le merci inglesi.

Oggi alcuni di questi territori sono stati riconsegnati ai legittimi proprietari, come Hong Kong; altri sono stati incorporati d’ufficio nell’elenco dei possedimenti d’oltremare dell’ex impero. Rimangono però alcune “colonie” che continuano a generare conflitti. Gibilterra è sempre in cima ai pensieri di ogni governo spagnolo: non si capisce infatti quale senso possa avere oggi per la Gran Bretagna mantenere una base navale dentro un Paese, la Spagna, che appartiene allo stesso spazio politico, l’Unione Europea. Nei Caraibi la disputa riguarda i tentativi di mettere sotto controllo i paradisi fiscali, ma sulle isole Cayman il Regno Unito non vuole ascoltare ragioni.

In fondo all’Atlantico meridionale si trova invece l’arcipelago più costoso per Londra, quelle isole strappate all’Argentina nel 1833 e che portano due nomi, Falklands e Malvinas, a seconda di chi le nomina. Per la loro sovranità nel 1982 Argentina e Gran Bretagna combatterono una guerra che si chiuse con la vittoria inglese e un bilancio totale di un migliaio di morti. La dittatura argentina crollò dopo la sconfitta militare, mentre dall’altra parte dell’oceano la signora Thatcher si assicurò un regno lungo e stabile.

A 30 anni di distanza, di Falklands-Malvinas si torna a parlare: questione di diritti di pesca e di estrazione del petrolio che, ormai si sa, sotto quei fondali riposa in abbondanza. Insomma, le isole sono tornate strategiche, per fortuna senza che si possa ipotizzare seriamente un conflitto armato.

Questa volta i ruoli sono invertiti: Buenos Aires, in base alle risoluzione ONU, chiede un tavolo per discutere di sovranità e soprattutto di affari; Londra invece reagisce con toni militareschi e spedisce navi e uomini in capo al mondo.

L’andamento della crisi delle Falklands-Malvinas potrà essere un interessante indicatore dello stato attuale dei rapporti di forza sullo scacchiere planetario. Anche perché questa volta i Paesi latinoamericani sono solidali tra loro, nel G20 hanno un peso non irrilevante e anche gli Stati Uniti sono per il dialogo. Forse in questo mondo post-bipolare sono maturi i tempi per chiudere definitivamente le ferite del passato coloniale e per ipotizzare nuovi partenariati tra ex-rivali. Questa volta, però, tocca al Regno Unito essere all’altezza della sfida.

Alfredo Somoza per Esteri (Popolare Network)