L’inizio della seconda presidenza di Donald Trump, che coincide con la presidenza di turno brasiliana dei Paesi BRICS, potrebbe segnare un cambiamento nelle dinamiche internazionali rispetto agli ultimi anni. La prassi ormai datata dell’allineamento automatico tra Europa e Stati Uniti potrebbe saltare per divergenze su diversi punti, dalla questione della lotta al cambiamento climatico alle strategie per la risoluzione dei conflitti in corso, e bisogna mettere in conto anche una possibile guerra commerciale a colpo di dazi e un aumento delle tensioni circa il finanziamento della NATO. In questo scenario, gli Stati Uniti sceglieranno uno per uno i loro nuovi alleati strategici, non in virtù dell’appartenenza comune al “vecchio” Occidente ma sulla base dell’allineamento con il nuovo corso della Casa Bianca.
Simultaneamente, la presidenza brasiliana dei BRICS dovrebbe riportare il gruppo su posizioni meno antagonistiche nei confronti del blocco occidentale, caratterizzate dalla ricerca di alleanze trasversali per condurre alcune battaglie su scala globale. Brasile e India, per esempio, puntano a far progredire la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che invece è osteggiata da Cina e Russia, Stati che oggi godono entrambi di diritto di veto; sul clima, la Cina è disponibile a continuare gli sforzi per rispettare l’Accordo di Parigi del 2015 molto più di quanto non lo siano altri membri dei BRICS, e soprattutto intende lavorare per evitare il ritorno ai mercati nazionali chiusi. L’Europa, a meno di cambiamenti radicali nella guida politica dei maggiori Paesi, si troverà spesso più vicina a queste posizioni rispetto alle linee d’azione annunciate da Donald Trump. E lo schema di alleanze globali potrebbe quindi mutare.
Molto dipenderà della conclusione, ormai evidente, della fase militare dell’aggressione russa all’Ucraina che dovrebbe rendere più stabile lo scenario internazionale, almeno sul mercato dell’energia e della produzione agricola. Ma sono diversi i nodi e le contraddizioni che arriveranno al pettine nei prossimi mesi. Il Regno Unito, alleato “naturale” di Washington, con la mossa della Brexit ha assecondato l’aspirazione statunitense a rapportarsi con un’Europa divisa in Stati poco influenti, ma al momento è lontanissimo dall’amministrazione Trump. Tuttavia, nei nuovi equilibri Londra potrebbe essere chiamata a esercitare un ruolo importante su altre aree del mondo, in particolar mondo nel Pacifico. L’Italia, che pensa di ottenere vantaggi dalla vicinanza tra la presidente del Consiglio e il presidente degli Stati Uniti, difficilmente potrà concludere accordi al di fuori di quanto deciderà l’Unione Europea. L’UE, che nemmeno è considerata come interlocutore da Trump, potrebbe concludere invece un accordo globale con la Cina anche su temi sensibili come l’intelligenza artificiale.
Il resto del mondo si adeguerà in ordine sparso a questo nuovo ordine in costruzione. Sfruttando posizione di forza, come la Turchia, ormai Paese-chiave per la stabilizzazione in Medio Oriente, ma anche Israele e l’Arabia Saudita, che sono destinati a tornare a dialogare. Se il governo Trump confermerà o meno la discontinuità finora solo annunciata rispetto al passato è tutto da vedersi: ma sono bastati gli annunci per accelerare processi già in corso, come la maggiore dipendenza del Sudamerica dalla Cina, il progressivo abbandono delle velleità da potenza regionale dell’Iran, la calma cinese rispetto a Taiwan. La superpotenza americana ha votato e, come in tutte le elezioni, gli elettori hanno scelto in base alle priorità nazionali: ma le conseguenze dei cambiamenti di linea politica a Washington coinvolgono anche altri 7 miliardi e mezzo di persone, senza diritto di voto per la scelta dell’inquilino della Casa Bianca.
