Dazi poco equi e solidali

Pubblicato: 17 Maggio 2025 in Mondo
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Il commercio equo e solidale rappresenta un modello consolidato di scambio che mira a promuovere condizioni di lavoro dignitose, prezzi giusti e sostenibilità ambientale, soprattutto (ma non solo) per i produttori dei Paesi in via di sviluppo. Sebbene in termini di fatturato rappresenti una fetta ridotta del mercato, questo tipo di commercio ha avuto un effetto “contaminante” sul mercato globale. Diverse grandi aziende, infatti, ne hanno adottato alcuni principi – in particolare quelli relativi alla sostenibilità ambientale e ai diritti dei lavoratori – lanciando proprie linee di prodotti, soprattutto nei settori agroalimentare e tessile.

Tuttavia, questo sistema deve confrontarsi con le politiche commerciali dei Paesi importatori, e dunque anche con i dazi doganali, tornati d’attualità dopo le misure varate da Donald Trump. Trattandosi di tasse sulle merci che attraversano i confini nazionali, nel caso del commercio equo e solidale i dazi possono rappresentare un ostacolo significativo, aumentando notevolmente il costo finale dei prodotti sul mercato. Per esempio, il caffè proveniente da cooperative di piccoli produttori in America Latina, che già ha prezzi più elevati rispetto a quelli dei prodotti “di massa”, può subire rincari tali da renderlo meno accessibile ai consumatori dei Paesi importatori, fino a spingerlo fuori mercato.

Le cooperative che mirano a garantire un prezzo giusto e sostenibile si troveranno dunque ad affrontare una riduzione della domanda che ne limiterà le opportunità di crescita o, addirittura, comprometterà la sostenibilità delle loro attività.

Inoltre, i dazi possono accentuare gli squilibri di mercato favorendo i prodotti provenienti da Paesi con costi di produzione più bassi, spesso ottenuti sacrificando l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Ciò, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, vanifica gli sforzi delle organizzazioni del commercio equo, impegnate nella promozione di un modello di scambio etico e trasparente. A questo scenario si aggiungono i dazi consolidati nel tempo a tutela dell’agricoltura dei Paesi occidentali, che vengono rigidamente applicati su quei prodotti che potrebbero rappresentare concorrenza alla produzione interna, come carne, grano o zucchero.

Nel dibattito sull’attuale “guerra dei dazi”, la dimensione della sostenibilità è completamente assente. Si parla solo di bilancia commerciale e di impatto sull’economia, mentre i consumatori, che storicamente hanno sostenuto la crescita del commercio equo e solidale attraverso le loro scelte consapevoli, diventano soggetti passivi, costretti a farsi carico dell’aumento dei prezzi. Si rischia così di gettare al vento decenni di normative e battaglie per i diritti dei lavoratori e per la riduzione dell’impatto ambientale dell’agricoltura e dell’industria della trasformazione. Soprattutto, l’acquisto di questi prodotti, determinato da un orientamento etico, rischia di diventare una scelta dipendente dalla disponibilità economica individuale.

È l’ennesima dimostrazione di come politiche che si proclamano a tutela del popolo e dei più deboli finiscano, in realtà, per produrre l’effetto opposto. I dazi rappresentano infatti la tassa meno progressiva che esista: generano rincari uguali per tutti, ricchi e poveri, ma mentre per alcuni gli aumenti risultano ininfluenti, per molti altri significano impoverimento e, per i piccoli produttori, si traducono in un ritorno a condizioni di lavoro peggiori.

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