Cambiamento climatico, cambiamento di geometrie

Pubblicato: 4 Maggio 2025 in Mondo
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Che cosa resta della grande ondata di sensibilità sui temi ambientali che ha investito buona parte del pianeta solo pochi anni fa? La prima risposta, d’istinto, sarebbe: poco o nulla. Articolando meglio, si potrebbe dire che, ancora una volta, l’agenda della politica mondiale ha relegato il cambiamento climatico tra le questioni non prioritarie.

La realtà, però, è più sfaccettata. Perché, se è vero che l’Accordo di Parigi non è stato finora seriamente applicato, è vero anche che in tanti Paesi la transizione energetica è già una realtà. E non solo nell’Europa comunitaria. L’elenco degli Stati che hanno compiuto sforzi significativi è lungo e abbraccia tutti i continenti: dal Regno Unito al Marocco, dal Cile alla Costa Rica, fino alle Filippine. Ma la grande rivoluzione sta avvenendo in Cina, Paese che attualmente è responsabile di circa un terzo delle emissioni mondiali di CO2 per via dell’uso consolidato del carbone come fonte energetica fondamentale. Negli ultimi anni, in Cina si è concentrato quasi il 40% di tutti gli investimenti mondiali sulle energie pulite e il gigante asiatico è diventato leader globale nella produzione di mezzi elettrici e colonnine di ricarica e di pannelli solari e fotovoltaici. Soprattutto, è monopolista nel trattamento delle terre rare, del cobalto e del litio utilizzati dall’industria green.

Oggi la crescita economica cinese è basata in buona parte proprio sulla produzione di tecnologie e prodotti sostenibili. Se manterrà questo ritmo, entro il 2035 la Cina dovrebbe ridurre le sue emissioni di anidride carbonica del 30% e aumentare la sua quota di produzione di energie da fonti rinnovabili fino al 40%, con un calo delle emissioni industriali del 25%. I numeri raccontano uno sforzo titanico da parte di Pechino, non solo per migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini ma anche per porsi alla guida di una rivoluzione mondiale in nome dell’ambiente e, al tempo stesso, del business. Proprio questa è la differenza rispetto agli altri Paesi che si stanno sforzando per rispettare gli Accordi di Parigi: per la Cina non si tratta soltanto di fare la cosa giusta, come per gli altri, ma di consolidare un ruolo di potenza economica proiettata verso il futuro.

L’antagonista per eccellenza, gli Stati Uniti di Donald Trump, sono invece proiettati verso il recupero di un passato che potremmo definire quasi remoto, fatto di petrolio e carbone, di dazi e frontiere chiuse. È un paradosso dei nostri tempi: quella che era considerata una delle realtà più tradizionaliste e conservatrici al mondo, la società cinese, si pone alla testa del cambiamento, mentre la società statunitense, che da sempre consideriamo la culla dell’innovazione, si chiude su se stessa e taglia i ponti con il resto del mondo.

Al netto delle differenze nel sistema politico che regge i due Paesi – e la democrazia non è un dettaglio – la classe dirigente cinese sta dimostrando di avere una visione di sé e del mondo che prefigura un nuovo ordine, percepito come ineluttabile, mentre quella statunitense non riesce a prendere atto del declino dell’ordine precedente, che le consentiva di prevalere senza ostacoli a livello globale. Il resto del mondo può solo osservare: qualcuno prova a inserirsi nella disputa, ma la partita è esclusivamente a due.

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